De Gregori live all'Atlantico per i 50 anni
di carriera e l'omaggio a Bob Dylan

De Gregori live all'Atlantico per i 50 anni di carriera e l'omaggio a Bob Dylan

di Claudio Fabretti
La chiusura del cerchio. Dalla pedana rossa del Folkstudio all’Atlantico Live, per un debito da saldare quasi cinquant’anni dopo. Tra Amore e furto. Francesco De Gregori parte domani da Roma con il suo nuovo tour, intitolato come il suo ultimo album.

Un omaggio devoto ma non calligrafico al maestro di sempre: Bob Dylan. «Lui sputava le parole come sassi, non cercava d’essere piacevole, al contrario - raccontava il De Gregori infatuato di fine anni 60 - Come tutti i grandi artisti, non dava l’impressione di voler parlare a qualcuno, ma di parlare a nome di qualcuno. Magari a nome di una generazione». Oggi, è proprio il 64enne Principe a riaccendere l’incanto sonoro del menestrello di Duluth. Con amore, sì, ma anche con qualche infedeltà. «Ogni traduzione è un tradimento - sostiene il cantautore romano - Tradurre una canzone vuol dire soprattutto non stravolgere il significato del testo e anche lavorare sul suono delle singole parole e sulla metrica dei versi. Sulla strada della cantabilità, i sacrifici sono molti, qualcuno può essere fatale».

Sul palco dell’Atlantico, De Gregori aprirà un nuovo capitolo del suo “dylaniano” concetto di Never Ending Tour: «Questo concerto è un altro film rispetto a quello del Vivavoce Tour - C’è Dylan e ci sono pezzi che non ho mai fatto». Non mancheranno, quindi, le cover di Amore e furto, a cominciare da quella Sweetheart Like You audacemente trasformata in Un angioletto come te, per proseguire con Servire qualcuno (rilettura di Gotta Serve Somebody), Acido seminterrato (Subterranean Homesick Blues), Come il giorno (I Shall Be Released) e tante altre. Un omaggio nato da anni di ricerche sul canzoniere di Mr. Zimmerman, fin dal 1973 quando il Principe reinterpretò Desolation Row, diventata poi Via della Povertà di Fabrizio De André. Sul palco De Gregori proporrà anche i brani del suo repertorio, opportunamente ritoccati e “dylaniati”, come da tradizione, per assecondare quel processo di rielaborazione creativa e costante già celebrato con Vivavoce. Perché «le canzoni non sono oggetti da museo». Almeno non quelle della collezione De Gregori.
Ultimo aggiornamento: Venerdì 4 Marzo 2016, 09:36
© RIPRODUZIONE RISERVATA