Marilyn Monroe, 60 anni fa la morte: ascesa e caduta della fata bionda che stregò lo showbiz e ne rimase prigioniera

Il 5 agosto 1962 la morte di un'icona senza tempo tra cinema, amori celebri e tormenti temporali

Marilyn Monroe, 60 anni fa la morte: ascesa e caduta della fata bionda che stregò lo showbiz e ne rimase prigioniera

di Totò Rizzo

«Si materializzò sulla porta come l’ultimo dei pensieri, quello che non ti capita mai in testa, quello che quando arriva fa “bang”, e per qualche minuto hai la mente vuota e non c’è posto per altro», disse Arthur Miller parlando del primo incontro con Marilyn Monroe. Ne sarebbe diventato il terzo, problematico marito dopo il campione Joe Di Maggio, che pare usasse le mani non soltanto per acchiappare la palla da baseball, e James Dougherty, che l’aveva sposata sedicenne per non farla finire nuovamente in orfanotrofio.
Era stato comunque un “bang” universale quello che aveva colpito il drammaturgo, uno scoppio risuonato nel secolo scorso e che echeggia ancora oggi in una mitologia mai sfiorata dall’ombra, a 60 anni dalla morte: la fine di un sogno, non solo americano, in un sabato sera d’agosto del 1962, il 5 per l’esattezza, tra lenzuola sfatte, flaconi di psicofarmaci e un mistero talmente fitto che non se ne è mai venuti a capo tanto che il suicidio fu rubricato come “probabile”.

Marilyn nata Norma Jeane


Marilyn, nata Norma Jeane, figlia di padre dubbio, di madre psichicamente instabile, di incerto domicilio (tra brefotrofi, famiglie affidatarie, parenti caritatevoli) era stata non soltanto un’icona planetaria di bellezza e di eros, nella spensieratezza postbellica dei calendari e delle copertine, e ancora al cinema la bionda sognata da tutti i mariti delle brune negli anni 50, non esplosiva, non pericolosa perché relegata nel perimetro dello schermo, nel recinto della commedia brillante, vestale di una maliziosità quasi domestica, frivola, ingenua. Era stata anche un simbolo di rivalsa contro la malasorte, grazie a curiosità e tenacia, contro le tante porte dei produttori sbattute in faccia, le promesse degli agenti mai mantenute, le risatine dei maestri di dizione in quel tritacarne implacabile che era ed è lo showbiz d’oltreoceano.

Con "Gli uomini preferiscono le bionde" stregò tutti


Eppure Norma Jean riuscì a diventare Marilyn non solo perché incarnava sogni proibiti sul telone bianco sia che recitasse la moglie perfida che cova propositi uxoricidi (“Niagara”) che la ballerina aspirante miliardaria (“Gli uomini preferiscono le bionde”) ma perché piegò al suo fascino sia l’uomo della strada che l’idolo acclamato negli stadi e l’intellettuale ossessionato dalla crisi creativa, probabilmente più attratti dal suo mito (o dai suoi soldi) che dalla donna Norma Jean.

Alla quale lei stessa, forse consapevolmente, aveva rinunciato: la donna che s’era fatta mito non sapeva più uscire fuori dal suo stesso simulacro.

Quando sbattè il muso contro i Kennedy


Cominciò ad accorgersene quando si scontrò con la ragion di Stato, sbatté il muso cioè contro i Kennedy: dapprima il maggiore, JFK, senatore con mire presidenziali, una volta alla Casa Bianca, la scaricò al fratello, Bob, anche lui più interessato al Congresso e al suo ruolo di marito probo. Pare ci fossero carteggi: spariti. A suggello, quel filmato, la voce flebile di lei – “happy birthday, mister President” – strizzata nel lamé squillante al Madison Square Garden. La fine è nota. Una stanza che invece di Chanel n. 5 odora di morte e mille arcani mai svelati. Chissà se Marilyn ha veramente voluto uccidere Norma Jean, la ragazza che in fondo, nella canzoncina celeberrima di un film, chiedeva soltanto “I wanna be loved by you” (Voglio essere amata da te). E concludeva, con la bocca a cuore: “Boop- boop-a-doop”.


Ultimo aggiornamento: Venerdì 12 Agosto 2022, 15:49
© RIPRODUZIONE RISERVATA