La vicenda della piccola Ginevra, la bambina calabrese morta a causa del Covid-19 dopo un tentativo in extremis di salvarla con un trasferimento d’urgenza al Bambino Gesù di Roma, ha riacceso i riflettori sull’annoso tema delle disomogeneità territoriali nell’assistenza pediatrica e sulle disuguaglianze regionali nell’offerta dei servizi pubblici di prevenzione e assistenza sanitaria. Senza entrare nel merito della vicenda, un fatto appare innegabile: il diritto alla salute non è uguale per tutti i bambini, ma è condizionato dalla regione in cui si nasce e si vive. Uno degli ambiti in cui maggiormente si manifestano le disparità è la “migrazione sanitaria”, ossia quei viaggi lontano da casa a cui sono costretti molti bambini per poter essere curati. È un problema antico che riguarda soprattutto il Mezzogiorno e che la Società Italiana di Pediatria, a cui aderiscono circa 11 mila pediatri, ha sollevato già da alcuni anni. A giugno 2021 uno studio pubblicato sulla rivista della nostra Società, Italian Journal of Pediatrics (a cura del professore Mario De Curtis, già Ordinario di Pediatria all’Università Sapienza di Roma e Presidente del Comitato per la Bioetica della SIP) ha valutato per la prima volta l’entità della migrazione sanitaria dei minori nel nostro Paese. Il lavoro, condotto sui 7.871.887 di bambini e ragazzi con età inferiore a 15 anni residenti in Italia nel 2019, ha messo in luce che un minore che vive nel Mezzogiorno ha un rischio del 70% più elevato rispetto a un suo coetaneo del Centro-Nord di dover migrare in altre regioni per curarsi. Rischio che incrementa ulteriormente se si considerano i ricoveri ad alta complessità.
LE IMPLICAZIONI
LE MOTIVAZIONI
*Presidente Società Italiana di Pediatria
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Ultimo aggiornamento: Giovedì 10 Febbraio 2022, 06:00
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