La parola, almeno finora, non ha mai portato grande fortuna a chi l’ha evocata. Perché di Bicamerale per ridisegnare l’assetto delle istituzioni italiane si è parlato spesso (la prima commissione con questo nome fu varata nel 1983: l’ultima nel ‘97, con Massimo D’Alema).
Eppure, raramente in tema di riforme costituzionali sono arrivati risultati, seguendo questa strada. Ma Giorgia Meloni mostra di non essere scaramantica. Perché pur di portare a casa l’obiettivo del presidenzialismo, nella prossima legislatura, la leader di FdI si dice pronta a sedersi al tavolo con il centrosinistra. Anche, perché no, con una Bicamerale. Un gruppo di lavoro cioè in cui siedano deputati e senatori di tutti gli schieramenti, ognuno con le proprie proposte di partenza verso un obiettivo comune.
Anche perché, si ragiona nel quartier generale dei meloniani di via della Scrofa, il Pd ha sempre guardato con favore al sistema semi-presidenziale alla francese, fin dal 2013. «Perché ora che lo proponiamo noi dovrebbero cambiare idea?».
Nessuna modifica alla Costituzione a colpi di maggioranza, insomma, come l’accusano di voler fare i dem gridando al «rischio democratura». Al contrario: da Fratelli d’Italia sarebbero pronti perfino a eleggere una nuova Costituente, se il centrosinistra fosse disponibile a discutere. Una sorta di assemblea incaricata di ridisegnare la Carta (beninteso: limitandosi agli articoli sull’ordinamento della Repubblica e la forma di governo) e di sottoporre il progetto di riforma al voto del Parlamento. Ed eventualmente anche a quello degli elettori, qualora tra Camera e Senato non si raggiungessero i Sì dei due terzi degli eletti.
La palla, insomma, viene lanciata nel campo avversario.
LA DIATRIBA
Anche se nei toni usati sui social non si mostra così conciliante (del resto, siamo pur sempre in campagna elettorale): «Anni e anni al governo senza vincere un’elezione – twitta la leader di FdI – per questo alla sinistra fa così paura il presidenzialismo. Noi, invece, non temiamo il giudizio degli italiani e vogliamo restituire forza alla volontà popolare».
E sulla diatriba che lo ha visto protagonista (suo malgrado) torna anche il Cavaliere, reduce dalla sconfitta del suo Monza contro il Torino: il Quirinale è «assolutamente fuori dalla mia testa», assicura Berlusconi. Per poi ribadire il suo «ottimo rapporto» con il Capo dello Stato: «Tutti hanno frainteso le mie parole sulle dimissioni, e questo mi ha indignato».
Ultimo aggiornamento: Martedì 16 Agosto 2022, 15:48
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