Jobs Act, Bersani e la sinistra Pd contro Renzi:
"Pronti a non votarlo, Berlusconi trattato meglio"

Jobs Act, Bersani e la sinistra Pd contro Renzi: ​"Pronti a non votarlo, Berlusconi trattato meglio"

di Alessandra Severini
ROMA - Non ci saranno lunghe trattative n marce indietro sul jobs act. Nonostante le critiche dei sindacati e della sinistra Pd, Matteo Renzi determinato a tirare dritto: Nessuno vuole togliere diritti, ma anche nel mio partito c' chi pensa che si possa far finta che non sia cambiato niente. Ma con me cascano male.





Con la minoranza del suo partito il confronto è fissato nella direzione che si terrà il 29 settembre. Renzi indicherà la linea sul lavoro e dopo il voto chiederà a tutti di adeguarsi. Già da oggi la sinistra Pd si riunirà per scrivere gli emendamenti e unire le forze in vista della battaglia per strappare qualche modifica. E già qualcuno sussurra che, se non ci saranno novità nel testo, i ribelli potrebbero decidere di non votare il provvedimento. Tende una mano al dialogo, l'ex segretario Pier Luigi Bersani, che dice sì al contratto a tutele crescenti purché rimanga «il concetto di reintegro che esiste in tutta Europa». Bersani però punzecchia il premier: «Sono della vecchia guardia? Anche Berlusconi e Verdini lo sono, ma vengono rispettati. Chissà se un giorno toccherà anche a me?».



Cgil, Cisl e Uil, che si sono dati appuntamenti venerdì mattina, sono concordi nel chiedere un confronto al governo ma i toni sono diversi. Susanna Camusso critica il premier accusandolo di portare avanti una «discussione ideologica» e dicendo no a «scambi» tra la riforma degli ammortizzatori sociali universali e quella dell'articolo 18. Luigi Angeletti invece invia segnali distensivi e apre all'abolizione dell'art.18 ma solo per i nuovi assunti, «senza toccare le tutele acquisite».

La legge delega comunque arriverà mercoledì in Senato e il braccio di ferro si terrà soprattutto su tre temi: l'allargamento dell'Aspi anche ai lavoratori ora non tutelati, gli incentivi fiscali alle aziende che assumono a tempo indeterminato; gli indennizzi al posto del reintegro in caso di licenziamento per motivi economici.



Intanto il governo prova a fermare la guerra dei numeri sul pagamento dei debiti della pubblica amministrazione. Per la Confartigianato mancano all'appello 21 miliardi, per la Cgia il buco ammonta a 35. Palazzo Chigi invece assicura: i soldi per pagare i debiti della pa «ci sono», a parte 2-3 miliardi «che rischiano di farci sforare il 3%» e quindi il 21 settembre l'impegno a saldare quelli del 2013 «è mantenuto» e la sfida «è vinta». Un aiuto nella disperata caccia alle risorse, potrebbe arrivare dalle nuove regole antievasione varate dal G20. Ma i paesi del G20 cominceranno a scambiare informazioni tributarie in modo automatico tra loro e con paesi terzi solo dal 2017.
Ultimo aggiornamento: Lunedì 22 Settembre 2014, 13:22
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