Laura, la mamma italiana fuggita dall'Isis:
"La propaganda mi ha portato nel terrore" -Foto

La mamma italiana fuggita dall'Isis: "Otto mesi da incubo"
La giustizia belga le ha tolto per tre mesi i figli, affidandoli ai nonni, e l'ha condannata a cinque anni con la condizionale (oltre a 15 mila euro di multa), proibendole anche l'uso dei social network e intercettando ogni sua comunicazione. Eppure per Laura Passoni, 30 anni, questa pena è un sollievo rispetto all'inferno vissuto per quasi un anno, a cavallo tra il 2014 e il 2015.

La donna, cittadina belga ma di origini italiane (i genitori sono di Roma e di Milano, emigrati come tanti italiani in Belgio nel Secondo dopoguerra), vive a Jumet, piccolo centro nei pressi di Charleroi. Aveva un figlio di quattro anni, nato da una precedente relazione, quando ha conosciuto Oussama Rayan, un uomo di origini tunisine con cui lavorava nello stesso supermercato. Tra i due è nato l'amore e Laura ha deciso di convertirsi all'Islam prima di sposarlo. Poi, la decisione maturata insieme al marito: quella di unirsi all'Isis, trasferendo la famiglia in Siria, vicino ad Aleppo. «Lui mi ha messo in testa tutte quelle cose sull'Isis, ma la loro propaganda è fortissima e ci sono cascata. Mi sono radicalizzata, vedevo il Califfato come l'unico posto giusto per i veri musulmani» - racconta la donna a Repubblica - «Non sono stata costretta, sono stata convinta. Andammo in crociera a Smirne, in Turchia, e da lì raggiungemmo il confine con la Siria. L'Isis non ci ha fornito documenti, ma avevamo trovato un appartamento. Non c'erano tasse da pagare, la sanità era gratuita e usano cure mai viste in Europa. La vita però era molto cara, e i soldi erano pochi».

 



Laura, nel palazzo di Al Bab, non lavorava: «Mi era vietata qualsiasi cosa, dovevo solo occuparmi della casa e dei figli. Non potevo uscire di casa o andare su Internet senza la presenza di un uomo, mi sono sentita subito prigioniera. Non mi sono mai state fatte violenze, ma obbedivo nel terrore che potessero prendere mio figlio. Era tutto l'opposto di quello che prometteva la propaganda del Califfato, e a un certo punto realizzai che non volevo che mio figlio diventasse un terrorista». La 30enne riuscì a comunicare di nascosto via sms con i genitori, ma non vuole rivelare come abbiano fatto i suoi a riportare lei e suo figlio a casa. Per la giustizia belga ci fu una trattativa con alcuni jihadisti in Turchia a fare da intermediari.

Oggi Laura, nonostante la condanna che pende su di lei, è di nuovo una donna libera in confronto alla schiavitù vissuta sotto il Califfato. Ha potuto anche riabbracciare il figlio, e oggi partecipa agli incontri di associazioni di familiari di foreign fighter. L'ultima riunione si è svolta nel quartiere-simbolo di Molenbeek: «Se avete intenzione di partire, non fatelo. Vi illudono che vivere sotto l'Isis sia perfetto, ma non è così, e una volta lì è quasi impossibile tornare indietro. Io sono stata molto fortunata, ma ho comunque rovinato la mia vita. Prima di prendere decisioni, parlatene sempre con qualcuno e non fatevi fare il lavaggio del cervello».
Ultimo aggiornamento: Giovedì 21 Aprile 2016, 10:12
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