Mary Robinson: «L'emergenza clima? La soluzione è donna»
di Franca Giansoldati
Lei è una forte sostenitrice dell'uguaglianza di genere, della partecipazione delle donne nella realizzazione della pace e della dignità umana. Al momento, in quanto responsabile di Elders si batte per la cosiddetta giustizia climatica, sostenendo che proprio le donne sono le più vulnerabili ai cambiamenti climatici. Non rischia di essere un approccio eccessivo?
«Affatto. Il cambiamento climatico non è neutrale dal punto di vista del genere, colpisce molto di più le donne. Sono i dati a dircelo, non delle teorie. In fin dei conti non si tratta di cambiamento climatico, ma di giustizia climatica».
Forse è anche per questo che le donne sulla scena pubblica sembrano battersi con più passione contro il climat change?
«Le donne che si assumono in prima persona la leadership di gruppi o movimenti per rispondere attivamente alla crisi rappresentano un fenomeno abbastanza recente. Le donne hanno certamente fornito risposte al rapporto dell'IPCC (il foro scientifico dell'Onu che studia il riscaldamento globale, nrd) nell'ottobre 2018, e la stessa cosa la hanno fatta davanti al tema del riscaldamento globale di 1,5 gradi Celsius. Personalmente valuto con grande favore questa presenza perché c'è bisogno di un ampio movimento. Occorre esercitare pressione sui governi e sulle imprese affinché si impegnino a non produrre emissioni di carbonio entro il 2050. E' una data che sembra lontana, eppure non lo è».
Oggi le Grete Thurnberg che combattono il climat change sono tantissime. Che ne pensa del fenomeno Greta e del fatto che questa ragazza svedese ha attivato altre coetanee?
«Ammiro sinceramente Greta e gli studenti che hanno scelto il venerdì per il futuro. Greta sottolinea l'importanza di ascoltare la scienza e, questo particolare aspetto, mi ha commosso fino alle lacrime mentre ero seduta al vertice sul clima delle Nazioni Unite a settembre. La osservavo. Lei parlava su quella sedia. Era semplice, disarmante, coraggiosa. E quando l'ho sentita dire mi hai rubato la mia infanzia ho sentito un groppo che mi si fermava in gola».
Scusi se insisto, ma le donne sono davvero così penalizzate dal climat change?
«È un aspetto che non sempre affiora, ma è un aspetto macroscopico. Esiste realmente una enorme dimensione legata ai cambiamenti climatici e le donne sono le più sfavorite sotto diversi punti di vista. Sociali, sanitari, economici». Diversi economisti sono concordi nel ritenere che se le donne si unissero formerebbero un potere economico colossale, il primo mercato al mondo, visto che sono loro a determinare gli acquisti delle famiglie per esempio. Lei concorda?
«Totalmente. Il problema è che le donne ora non sono ancora connesse. Stiamo lavorando con gruppi che studiano quattro tipi di aggregazioni femminili. Le donne che al momento fanno prevalere la paura, le donne che sono già connesse tra loro, le donne pericolose e le leonesse che poi sono quelle destinate ad emergere nei momenti di crisi climatica».
Perché lei ama ripetere che la crisi attuale necessita di un surplus femminile...
«Per il semplice motivo che questa crisi ha radici maschili, comunque la si osservi. Porta la mano dell'uomo. Quando dico che c'è bisogno di un surplus femminista significa che anche i maschi dovranno essere inclusi in questa soluzione globale. Senza lasciare nessuno indietro. Perché ci si salva solo assieme».
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Ultimo aggiornamento: Sabato 2 Novembre 2019, 10:18
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