Marocchino dell'Isis arrestato a Torino: voleva colpire con un camion. "Ha urlato: tiranni, in prigione a testa alta"

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Lui si chiama Elmahdi Halili, è un italo-marocchino, ed è l'autore del primo testo di propaganda dell'Isis in italiano: questa mattina è stato arrestato dalla Polizia al termine di un'indagine dell'Antiterrorismo coordinata dalla Procura di Torino. «Partecipazione all'associazione terroristica dello Stato Islamico», l'accusa nei suoi confronti. Al momento dell'arresto Halili ha gridato: «Tiranni! Vado in prigione a testa alta». «Si tratta di un soggetto molto motivato, senza nessuna intenzione di ravvedersi», ha detto il questore.



CERCAVA LUPI SOLITARI, VOLEVA USARE CAMION «Siamo intervenuti senza indugio. Abbiamo dovuto agire immediatamente per eliminare questa minaccia: Halili poteva compiere delitti». Così il questore di Torino Francesco Messina. «C'è stata un'escalation nel suo percorso. È passato dall'auto indottrinamento al cercare e contattare soggetti, 'lupi solitari', che potessero compiere azioni terroristiche e stava anche studiando come usare il coltello e su come preparare il camion per eventuali attentati. 

Halili identificava e contattava soggetti che potessero agire come 'lupi solitari'. Faceva azione di proselitismo e in alcuni casi li ha anche incontrati, italiani convertiti, ghanesi, marocchini, spesso già noti alle forze dell'ordine, hanno spiegato il questore di Torino Francesco Messina e il capo della digos Carlo Ambra. «Era il momento di intervenire. Non potevamo permetterci che individuasse l'obiettivo da colpire. Si sono configurati gli elementi per un'azione immediata». 

«La famiglia lo ha allontanato, condannando la sua scelta», ha rivelato il capo della Digos di Torino Carlo Ambra, che ha condotto le operazioni che hanno portato all'arresto di Halili. «Aveva - spiega Ambra - atteggiamenti radicali anche in casa. Era arrivato a non volere che la madre toccasse il suo cibo». Il padre, muratore, era in Italia dall'89. «Una famiglia perbene», secondo gli inquirenti. La madre è casalinga, un fratello perito elettronico (come l'arrestato) e la sorella studentessa.

INCONTRI A TORINO E PROVINCIA Gli incontri tra Halili e le persone da lui individuate nell'azione di proselitismo avvenivano a Torino e in provincia. Si tratta di soggetti violenti, potenzialmente adatti a compiere attentati: italiani convertiti all'Islam e stranieri. «Si tratta di una minaccia in un contesto liquido, non preciso, ma delicatissimo», ha spiegato il questore di Torino Francesco Messina. «In questa fase è questa la minaccia che dobbiamo contrastare. Il Daesh è stato sconfitto sul campo di battaglia, ma la sua propaganda continua». L'operazione anti-terrorismo è stata chiamata 'Amore e odio' - ha precisato Carlo Ambra, capo della Digos di Torino, che ha coordinato le indagini, «perché Halili diceva che l'Islam è equilibrio tra questi sentimenti: amore per i credenti e odio per i miscredenti». 



INDAGINE DAL 2015 ​13 perquisizioni sono in corso da parte della Polizia nel Nord Italia nei confronti di soggetti legati ad ambienti dell'estremismo islamico, emessi nell'ambito dell'indagine che ha portato in carcere Halili e scattati a Milano, Napoli, Modena, Bergamo e Reggio Emilia. L'indagine è partita alla fine del 2015, quando Halili ha patteggiato una condanna a due anni di reclusione, con sospensione condizionale della pena, per istigazione a delinquere con finalità di terrorismo proprio per la pubblicazione sul web di una serie di documenti dell'Isis. Nell'inchiesta sono coinvolti anche alcuni italiani convertiti all'Islam, oltre a cittadini di origine straniera: l'accusa ipotizzata nei è di aver svolto una campagna di radicalizzazione e proselitismo sul web.

Quando il 30 agosto del 2016 il capo della propaganda e portavoce dell'Isis Abu Mohammed Al Adnani fu ucciso ad Aleppo, Elmahdi Halili creò una piattaforma social dove pubblicò tre diverse playlist con i messaggi più famosi del braccio destro di Al Baghdadi, compreso quello in cui dava l'ordine ai lupi solitari presenti in Europa di scatenare la campagna di terrore che ha portato alle stragi del 2015, hanno accertato gli investigatori della Polizia nell'inchiesta che ha portato in carcere l'italo marocchino.



MINNITI: "MINACCIA ISIS MAI COSI' FORTE" «Nessuno ha mai detto che fosse finita. Il quadro della minaccia di Isis rimane radicalmente immutato. Anzi, la caduta di Raqqa e Mosul, se da una parte fa venir meno l'elemento 'territorialè del Califfato, dall'altro aumenta la pericolosità dell'altra componente, quella terroristica», sottolinea Marco Minniti, ministro dell'Interno uscente, in un'intervista alla 'Stampa'. «Lo Stato islamico - osserva Minniti - è stato capace di arruolare 25-30 mila foreign fighters da circa 100 Paesi diversi. La più importante legione straniera che la storia moderna ricordi. Molti sono morti, ma i sopravvissuti stanno cercando rifugio altrove. Anche qui in Europa».

L'appello di Minniti al governo che verrà affinchè continui con le espulsioni contro i radicalizzati. Sull'inchiesta legata all'imam di Foggia, Minniti osserva: «La cosa importante oggi è soffermarci su questa indagine esemplare, che ha dimostrato con prove solari uno scenario assolutamente agghiacciante. Una cosa che non ha eguali in Occidente. L'unica cosa che si può associare alla 'scuola' di Foggia sono le immagini che provenivano dal profondo dell'Iraq e della Siria, quelle di bambini addestrati a usare la pistola o utilizzati per esecuzioni capitali».

Sulla condizione dei migranti in Libia, Minniti spiega che «con Oim e Unhcr si è potuto stabilire, in Libia, chi ha diritto alla protezione internazionale.
E questi rifugiati sono arrivati in Italia attraverso corridoi umanitari gestiti dal governo italiano. Chi scappa dalla guerra non lo devono portare qui gli scafisti, ce ne occupiamo noi. L'Oim ha fatto più di 22500 rimpatri volontari assistiti dalla Libia ai Paesi d'origine. L'Italia è stato il primo Paese ad aver organizzato un corridoio umanitario da Tripoli direttamente in Europa. Controllo dei confini, aiuti umanitari, intervento per gestire i rimpatri volontari, aiuto a chi ha diritto alla protezione internazionale. Può diventare un modello, che tiene insieme umanità e sicurezza. Forse l'unico possibile». 

Ultimo aggiornamento: Mercoledì 28 Marzo 2018, 15:42
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