Napoli, i detenuti di Poggioreale scrivono
ai babyboss di camorra: "Deponete le armi"
di Antonio Mattone
Una scelta coraggiosa con un taglio tutto personale, parole di rottura che si concludono con un appello che diventa un urlo: “guagliù salvatevi”. C'è la consapevolezza di aver stravolto la vita di mogli, figli e madri, ma anche di aver procurato dolore e sofferenza a chi non c'entrava nulla. L'invito a cambiare strada è accompagnato da una lucida analisi sulle motivazioni che inducono tanti giovani ad intraprendere la via del crimine: idoli sbagliati, il fascino del potere, il guadagno facile, la delusione di una vita difficile con la sofferenza di non avere niente. Nelle scorse settimane si sono susseguiti dibattiti e analisi sul profilo dei giovani boss emergenti, sul nuovo look e i loro stili di vita. Tuttavia sono state poche le voci di chi si è rivolto apertamente a questi camorristi in erba e soprattutto a chi vive al confine della malavita e corre il rischio di esserne affascinato.
Pier Paolo Pasolini nell'anno della sua morte cominciò a scrivere un piccolo trattato pedagogico, dove interloquiva con un immaginario scugnizzo napoletano che si chiamava Gennariello. Lo scrittore, in questa opera incompiuta, metteva in guardia il ragazzino dall' impeto e dal conformismo dei suoi coetanei che spesso si traducevano in violenza gratuita e feroce. Quanti Gennariello oggi non hanno nessuno che li formi e li appassioni, e nel vuoto di proposte e di lavoro si lasciano conquistare dal modello camorrista.
Ultimo aggiornamento: Mercoledì 21 Ottobre 2015, 15:17