Lina Khalifeh: «Con il metodo “She Fighter” insegno l'autodifesa alle donne arabe»

Lina Khalifeh: «Con il metodo “She Fighter” insegno l'autodifesa alle donne arabe»

di Sabrina Quartieri
Lina Khalifeh ha poco più di vent’anni quando apre la cantina di casa dei suoi genitori alle donne giordane che vogliono imparare a difendersi. In poco tempo però, quella stanza riadattata a palestra si fa troppo piccola per ospitare le tante iscritte ai corsi “clandestini”. Così, nel 2012, la coach cresciuta “a pane e arti marziali” esce allo scoperto e, ad Amman, apre una scuola di autodifesa per sole donne, l’unica gestita, in tutto il mondo arabo, da una figura femminile. Con il metodo “She Fighter” da lei ideato, un mix tra Kung Fu, Taekwondo e allenamento militare, Lina insegna a essere veloci, ad acquisire consapevolezza della propria forza, e non solo fisica,  a non avere paura di reagire.
 
 


«Nel mio Paese le donne non hanno diritti e più della metà sono vittime di violenza dentro le mura domestiche. Io insegno a compiere passi verso un futuro migliore», spiega la coach oggi 34enne che, nel mondo, ha già addestrato 15mila allieve, anche nei campi profughi. Nel 2015 Barack Obama, nel corso del “Global Entrepreneur Event”, ha definito la giovane giordana una «leader che sta guidando il cambiamento sociale in Medio Oriente». Grazie a lei, infatti, le donne diventano più forti. Dagli uomini invece, la “She Fighter” riceve minacce, perché vogliono che chiuda la palestra.

«Ma io non ho paura. Sono il “Bruce Lee del Medio Oriente”», dice Lina mentre guarda una foto postata su Instagram in cui indossa la mitica tuta gialla e nera di Lee. La coach tiene spesso workshop di autodifesa all’estero e sta negoziando l’apertura di una scuola a Mauritius e a Utrecht in Olanda. «Perché la violenza contro le donne è ovunque», aggiunge la giordana. Nel 2017 è stata la volta del tour in Italia ospite della ong “Un ponte per”. «Oltre al gelato – ricorda Lina – mi rimasero impresse la grande partecipazione alle mie lezioni e la marcia dell’8 marzo a cui presi parte», per lo sciopero globale indetto dalla rete “Non una di meno” che denunciava la violenza di genere come fenomeno strutturale della nostra società.
Ultimo aggiornamento: Mercoledì 12 Dicembre 2018, 14:46
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