Così l'Isis recluta bambini per la jihad: "Metodi simili ai pedofili". E gli orfani diventano kamikaze

Così l'Isis recluta bambini per la jihad: "Metodi simili ai pedofili". E gli orfani diventano kamikaze
Sono i 'leoncini dell'Isis', bambini allevati, addestrati e cresciuti per proseguire il Jihad nella prossima generazione, possibilmente in Occidente, Nordafrica e Medio Oriente, dopo la sconfitta militare del sedicente Califfato. Sono anzitutto «vittime», ma sono anche una «minaccia» che «non dovrebbe essere presa alla leggera». Per reclutarli, i militanti dell'Isis impiegavano tattiche simili a quelle usate dai pedofili per adescare i minori.

A fare luce su una delle pratiche più odiose del sedicente Stato Islamico, ormai in rotta, è un report di Asaad Almohammad («Isis Child Soldiers in Syria»), ricercatore dell'International Centre for Counter Terrorism dell'Aja, realizzato indagando sul campo tramite otto raccoglitori di dati che hanno operato nel 2017, per circa quattro mesi, nelle terre del Califfato sotto copertura, mantenendo l'anonimato.

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Il fenomeno dei bambini soldato in sé è tutt'altro che nuovo, sottolinea Almohammad, anche nell'area siriana: durante l'occupazione militare del Libano da parte della Siria, il 27 novembre 1985, Hamida al-Taher, una studentessa delle superiori iscritta alle Avanguardie del Bàath, si gettò alla guida di un'auto imbottita di esplosivo contro una base militare, uccidendo una ventina di militari libanesi e israeliani. Il partito baathista rivendicò l'attacco e l'eroismo di Hamida viene tuttora usato come esempio nelle scuole siriane per indottrinare i bambini.

 
 

Anche se non è una novità, l'uso dei bambini da parte dell'Isis costituisce una seria minaccia per la sicurezza interna di vari Paesi, non pochi dei quali europei. Non va dimenticato, anzitutto, che i bambini (sono definiti 'bambini' nel rapporto tutti i minori di 18 anni) che vivono o hanno vissuto in territori controllati dall'Isis hanno visto bombardamenti, subito la morte di genitori o parenti, assistito o anche partecipato ad esecuzioni. Alcuni hanno anche subito torture: i genitori di un bambino incarcerato e torturato dall'Isis hanno mostrato al raccoglitore di dati foto del minore, che portava sulla schiena cicatrici che ad un esame visivo sembrano provocate da una picana (un'asta che trasmette scosse elettriche usata per controllare il bestiame, poi utilizzata negli anni 70 per torturare prigionieri in Argentina, Bolivia, Uruguay e Paraguay). 

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COME VENGONO RECLUTATI Per reclutare i 'leoncini', gli uomini dell'Isis utilizzano tattiche ben precise, con un «processo di adescamento extra familiare che dura per un periodo relativamente esteso», simile alle «manipolazioni e fascinazioni utilizzate in alcuni tipi di reati sessuali», nota Almohammad. L'adescamento riuscito «comprende una gamma di azioni manipolatorie e coercitive mirate sia ai bambini che alle loro comunità, in modo che il reclutamento, l'arruolamento e l'impiego» dei bambini a fini militari «possano essere condotti con o senza essere rilevati e con o senza resistenza».

 
 

L'adescamento «predatorio» messo in pratica dai reclutatori «include la selezione di una recluta, l'avervi accesso, sviluppare fiducia emozionale, un addestramento ideologico e l'impiego» a fini militari. Una grossa differenza con i pedofili, tuttavia, c'è: a differenza di questi ultimi, «i reclutatori di bambini nei territori controllati dall'Isis sono in grado di operare nell'impunità. Con o senza il sostegno delle comunità locali, l'Isis utilizza le sue risorse per fornire ai reclutatori un accesso più facile ai bambini attraverso le sessioni coraniche nelle moschee, per esempio».

Anche le scuole sono utilizzate come bacini di manodopera e i reclutatori sfruttano le situazioni di vulnerabilità familiare, come la perdita dei genitori: i bambini vengono messi in orfanotrofi nei quali vengono «indottrinati intensamente», secondo quanto riferito al ricercatore da un dipendente di un orfanotrofio dell'Isis. Nel caso degli orfani, nota Almohammad, «il reclutamento predatorio da parte dell'Isis sembra somigliare allo sfruttamento che i pedofili fanno delle vulnerabilità psicologiche dei bambini».

Anche i bambini con genitori sono a rischio: i raccoglitori di dati riferiscono almeno un paio di casi, il 12enne Thamir e l'undicenne Abdullah, in cui i i reclutatori sono riusciti ad isolarli dalle rispettive famiglie. «In modo simile ai processi di adescamento utilizzati dai pedofili, la condotta del reclutatore dell'Isis» nella fase dell'accesso alla vittima «mira a isolare il bambino fisicamente e psicologicamente». Una volta ottenuto accesso al minore, si passa allo sviluppo della fiducia, esattamente come succede ai molestatori di bambini, che utilizzano la «fiducia ingannevole», come viene definita in letteratura l'abilità del molestatore di sviluppare legami e di guadagnarsi la fiducia della vittima.

Le «tecniche» e il «comportamento» del reclutatore in queste fasi mirano a creare «fiducia, amicizia, attaccamento, in ultima analisi a far sentire il bambino speciale», una strategia che funziona, dato che le vittime sono bambini «che spesso non possono andare a scuola e a volte devono lavorare per forza». Il reclutatore offre loro un sistema di sostegno, facendo loro regali e dando loro cibo. Una volta guadagnata la fiducia del bambino, esattamente «come il processo di desensibilizzare i bambini dall'atto del toccare utilizzato dai pedofili», i reclutatori dell'Isis «sono stati osservati assoggettare le reclute bambine a materiale ideologico e ad atti di violenza».

Per esempio, il piccolo Ahmad (tutti i nomi nel rapporto sono fittizi, per proteggere le fonti) ha raccontato ai genitori che il reclutatore dell'Isis lo portava ad assistere alle esecuzioni. Oppure, i bambini vengono incitati a ripetere i contenuti del materiale propagandistico, anche mediante l'organizzazione di gare a chi ricorda meglio, oppure ancora devono cantare canzoni jihadiste. Le scuole funzionano come grandi serbatoi di reclutamento: non quelle ufficiali, che spesso, come è successo a Deir ez-Zor, vengono svuotate e usate a fini militari dato che gli aerei della coalizione evitano di bombardarle, ma quelle create dall'Isis in appartamenti requisiti allo scopo.

Gli studenti in queste scuole vengono divisi in quattro categorie: locali, mediorientali e nordafricani, stranieri e orfani. Le scuole hanno diversi metodi pedagogici, ma tutte si basano su due principali libri di testo, «Impara l'ordine della tua religione» e «Il libro del monoteismo e della dottrina». I figli dei foreign fighters vengono separati dagli altri, in modo che chi non conosce l'arabo possa impararlo; una volta imparata la lingua, tornano con gli altri. Gli ufficiali dell'Isis possono mandare i loro figli in scuole che ospitano i figli dei foreign fighters, dato che spesso hanno insegnanti migliori.

Tutti gli insegnanti, comunque, per poter lavorare devono frequentare il corso di redenzione (Istitabah). Queste scuole impartiscono anche un intenso addestramento al combattimento: tra l'altro, dai dieci anni di età in poi i ragazzini imparano a utilizzare armi, in particolare gli Ak47 (kalashnikov), e a curarle. «Una speciale attenzione viene data alle esecuzioni e a fomentare l'odio verso coloro che l'Isis considera infedeli», spiega Almohammad.

Ci sono poi gli orfani, Ashbal al-Khair, i 'leoncini del Bene': figli di disertori (locali o stranieri), bambini i cui padri sono stati uccisi in combattimento e orfani senza parenti in grado di prendersi cura di loro. Questi bambini a Ishara, Busirah, Mayadin, Deir ez-Zor «vengono addestrati a condurre attacchi suicidi». In un campo chiamato Usama al-Mwahid, gli orfani vengono addestrati all'uso e all'installazione «di diversi tipi di IEDs (Improvised Explosive Devices, ordigni esplosivi rudimentali, ndr)». Uno degli allievi, ad appena 15 anni, era istruttore nella preparazione degli ordigni.

Essendo privi di genitori, «sembra che gli orfani ricevano un indottrinamento più intenso e che vengano utilizzati prima in azione» rispetto ai locali e ai figli di stranieri. Almohammad sottolinea che «a differenza dei figli di locali», gli orfani e i figli di stranieri non hanno altra scelta che quella di arruolarsi nei ranghi dell'Isis. «Con modelli negativi e subendo pratiche coercitive, questi bambini sono anzitutto vittime», ricorda.

I figli di foreign fighters morti in combattimento sono costretti ad arruolarsi, anche nel caso in cui la madre vedova sia contraria. Una volta arruolati ed addestrati, i bambini sono molto dediti alla 'causa': molti si offrono volontari per le operazioni «engimasi», cioè attacchi suicidi condotti dietro le linee nemiche; in un campo c'è addirittura la lista d'attesa per partecipare a questi attacchi. Chiunque si offra volontario per questo tipo di incarico non può più comunicare con la famiglia. «Il livello di depravazione e di disperazione dell'Isis», annota Almohammad, è dimostrato dal caso di un bambino di otto anni, che si è autodefinito uno «specialista di cinture esplosive» per attacchi suicidi, parlando con un raccoglitore di dati.

I 'leoncini' nel 2017 venivano utilizzati in misura crescente anche dall'Hisbah, la polizia religiosa del Califfato, per compiti particolarmente odiosi come il controllo della moralità pubblica e del rispetto dei doveri religiosi. Non mancano i casi, riportati dalle fonti del ricercatore, di adulti puniti in pubblico da minorenni zelanti per non essersi recati alla moschea. Almohammad nota che diversi Paesi europei hanno oggi la tendenza a disconoscere i figli dei foreign fighters loro cittadini e a scaricare il problema sugli Stati in cui si trovano i bambini, la Siria e l'Iraq.
Nessuno dei due Stati mediorientali, tuttavia, ha le risorse e la capacità necessarie per affrontare questo problema. Prima o poi anche gli Stati occidentali dovranno farsene carico.

Ultimo aggiornamento: Martedì 3 Aprile 2018, 16:12
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