Se il Nord perde più prodotto interno lordo, è il Mezzogiorno a pagare il prezzo più elevato in termini di occupazione. Ogni mese di chiusura è costato quasi 48 miliardi di euro, il 3,1% del Pil italiano. Di questi oltre 37 li ha “paga” il Centro-Nord (3,2% del Pil) e quasi 10 pesano sul Mezzogiorno (2,8% del Pil). Ma il Sud ha pagato un conto carissimo soprattutto sul fronte occupazionale.
Manovra, Roma dimenticata: avanza l’autonomia del Nord
Stipendi, il rilancio nordista di Bonomi: «Al Sud salari più bassi»
I NUMERI
Nei primi tre trimestri di quest’anno, la diminuzione dei posti di lavoro è stata del 4,5%. Significa che sono 280 mila i meridionali che sono andati ad ingrossare le fila dei disoccupati (-8% l’occupazione giovanile), senza contare quell’area “grigia”, esclusa dalle tutele: i lavoratori irregolari, quelli completamente in nero, i precari. Una platea di quasi 2 milioni di persone, solo alcune delle quali probabilmente hanno avuto accesso al Reddito di cittadinanza. Insomma, quello disegnato dalla Svimez nel suo rapporto annuale, presentato ieri dal presidente Adriano Giannola e illustrato dal direttore generale Luca Bianchi, è un Paese in cui i divari non solo non sono diminuiti, ma anzi rischiano di accrescersi nel prossimo futuro. Se da un lato è vero che la caduta del Pil meridionale sarà leggermente più contenuta di quella del prodotto interno settentrionale (9% contro il 9,8%), è altrettanto vero che il prossimo anno il “rimbalzo” beneficerà soprattutto le regioni del Nord. Per il 2021 la Svimez prevede che il Pil cresca al Sud dell’1,2% e nel 2022 dell’1,4%, mentre al Centro-Nord del 4,5% nel 2021 e del 5,3% l’anno successivo.
Previsioni però più ottimistiche se si considerano gli effetti della Legge di Bilancio, che si vedranno soprattutto nel 2022. Grazie soprattutto alla decontribuzione al 30% sul lavoro, il Pil aumenterebbe nel 2022 del 2,5%, circa un punto in più di quanto previsto senza tenere conto della manovra.
LA FOTOGRAFIA
I divari, si diceva, restano e si allargano. Basta sfogliare le pagine del lungo rapporto della Svimez. Ci sono dati sulla spesa sanitaria corrente pro capite, che portano a definire il Mezzogiorno «una zona rossa già prima della pandemia». Senza considerare le statistiche sui divari scolastici. La percentuale di tempo pieno nella scuola primaria è al Sud del 16%, al Centro-Nord del 46,1% con una media italiana del 35,4%. E la chiusura delle scuole in atto, rischia di accrescere ulteriormente i divari nell’educazione. Al Sud i ragazzi tra 6 e 17 anni che vivono in famiglie in cui non sono disponibili dispositivi informatici sono il 19% contro il 12,2% medio italiano e la percentuale sale al 34% se in famiglia nessuno dei genitori è andato oltre la scuola dell’obbligo. «A noi», ha detto il presidente della Svimez Giannola, «serve far correre Napoli insieme a Milano, e non sacrificare una a beneficio dell’altra». Peppe Provenzano, ministro per il Sud, che dalla Svimez proviene, ha promesso che tra fondi strutturali e Recovery fund, per il Mezzogiorno ci saranno «140 miliardi complessivi nei prossimi 7 anni». Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che pure ha partecipato alla presentazione del rapporto, ha annunciato che tra i progetti del Recovery ci sarà «un polo Agritech per lo sviluppo di tecnologie nel settore agroalimentare» a Napoli. E ha aggiunto che i fondi europei saranno usati anche per garantire il tempo pieno a scuola su tutto il territorio nazionale». Resta la considerazione, fatta dalla Svimez, che la pandemia «non è stata una livella». Anzi, i divari per adesso li ha accresciuti.
Ultimo aggiornamento: Mercoledì 25 Novembre 2020, 13:46
© RIPRODUZIONE RISERVATA