La cifra sembra importante. Quattro miliardi e seicento milioni inseriti nella manovra del governo sotto la voce «fondo di perequazione infrastrutturale». E lo scopo nobile. Dopo decenni di ritardo, iniziare finalmente a colmare i divari nelle dotazioni di infrastrutture tra il Nord e il Sud del Paese. Ma la misura rischia di essere solo una “foglia di fico” per mandare avanti il progetto nordista di autonomia a scapito del Mezzogiorno e, soprattutto, di Roma, ancora una volta dimenticata dal governo nella manovra da 38 miliardi. Della Capitale, del resto, e dei «progetti importanti» promessi dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, non c’è traccia nei 228 articoli della manovra.
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La proposta
Ma andiamo con ordine. La perequazione infrastrutturale è prevista da anni, dalla legge 42 del 2009 sul federalismo fiscale, che diceva che il governo avrebbe dovuto effettuare una «ricognizione» degli interventi infrastrutturali da effettuare per colmare i divari tra i vari territori e dare, in sostanza, a tutti i cittadini eguali diritti. Avrebbe dovuto dunque appurare le dotazioni di strutture sanitarie, assistenziali, scolastiche, delle reti stradali e autostradali, di quelle ferroviarie, delle reti fognarie, di quelle elettriche, su tutto il territorio nazionale. E poi fare in modo che dove c’era una carenza questa fosse colmata. Adesso invece, nella proposta portata avanti dal ministro degli Affari Regionali, Francesco Boccia, in costante coordinamento con i governatori delle grandi Regioni del Nord, gli investimenti per ridurre il gap di infrastrutture, vengono legati all’attuazione dell’autonomia chiesta a gran voce proprio da Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna. Insomma, un po’ come se i 4,6 miliardi stanziati, diventassero il «prezzo» di uno scambio: qualche infrastruttura in più al Sud, e l’autonomia al Nord. Ma si tratta di uno scambio iniquo.
Per molte ragioni. La prima è che, nelle continue accelerazioni e frenate del progetto autonomista, il governo continua a dimenticare Roma, città messa sempre più in crisi non solo dalle conseguenze della pandemia, ma anche dalla scelta politica di continuare a privilegiare altre aree metropolitane, a partire da Milano.
Gli impegni mancati
I 4,6 miliardi, insomma, sarebbero impiegati in circa un decennio. La cifra dunque del tutto insufficiente a colmare il gap infrastrutturale. Come noto lo Stato non ha quasi mai rispettato l’impegno di spendere nel Mezzogiorno almeno il 34% delle risorse per investimenti. Secondo le analisi condotte sul sistema dei Conti pubblici territoriali, il gap infrastrutturale creato dalle mancate opere solo dal 2000 al 2017, vale 44 miliardi di euro. Circa 2,6 miliardi l’anno. È evidente che voler colmare il gap con 300 milioni l’anno è come voler spegnere un incendio con un secchio bucato.
Ultimo aggiornamento: Mercoledì 18 Novembre 2020, 20:52
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