Violenze nel carcere di Santa Maria:
«Fu orribile rappresaglia contro i detenuti»

Violenze e torture nel carcere di Santa Maria Capua Vetere: «Fu un'orribile rappresaglia»

di Mary Liguori

Spensero i monitor della videosorveglianza interna del reparto Nilo, ignari che benché gli schermi fossero disattivati, l'impianto avrebbe continuato a registrare. E sono quei video lo scheletro delle oltre duemila pagine di ordinanza firmata dal gip di Santa Maria Capua Vetere che ha definito la notte della rappresaglia della polizia penitenziaria nel carcere Uccella «una orribile rappresaglia contro i detenuti».

Il filmato prova quanto denunciato da decine di detenuti nel bel mezzo del primo lockdown. Due file di agenti formano una sorta di corridoio umano dove i detenuti furono costretti a sfilare sotto i colpi dei manganelli. Botte sulla testa, sulle mani con le quali cercavano di ripararsi. È l'immagine più vivida delle violenze avvenute nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, nel Casertano, il 6 aprile del 2020 quando, in piena pandemia e in seguito a una protesta dei carcerati, il Dap dispose perquisizioni straordinarie richiedendo l'intervento di unità di rinforzo provenienti da Secondigliano. I detenuti furono picchiati e umiliati per oltre quattro ore durante una vera rappresaglia che coinvolse, in tutto, oltre 240 ospiti del penitenziario. 

«Riprendiamoci il carcere» è il motto di quella notte, ed è uno dei motivi per i quali risulta indagato il provveditore regionale delle carceri campane, Antonio Fullone, che benché avesse appreso che i disordini scoppiati nel carcere in seguito alla notizia di un detenuto positivo al covid fossero rientrati ormai da ore, autorizzò l'intervento straordinario «per dare soddisfazione agli agenti di polizia penitenziaria», ha detto in conferenza stampa il procuratore Maria Antonietta Troncone che, insieme all'aggiunto Alessandro Milita, ha coordinato la delicata indagine delegata ai carabinieri di Caserta.

Oltre alla misura nei confronti di Fullone, la Procura ha ottenuto dal gip otto ordinanze di custodia in carcere, diciotto ai domiciliari, tre obblighi di dimora e ventitre misure interdittive. Furono per la verità oltre cento gli agenti che la notte del 6 aprile presero parte alle violenze, tuttavia molti di loro erano in tenuta antisommossa per cui non è stato possibile identificarli. I destinatari delle misure, con contestazioni che vanno dalla tortura al maltrattamento fino al falso in atto pubblico, al falso ideologico e al depistaggio, sono in prevalenza agenti in servizio nel carcere casertano per i quali la misura è stata spiccata dal gip in seguito al riconoscimento da parte delle vittime. 

Video

L'indagine ricostruisce da un lato le violenze, dall'altra i tentativi di depistaggio con una serie clamorosa di falsi sia nei verbali di intervento che nei referti medici con i quali gli agenti oggi indagati cercarono di giustificare le percosse sostenendo che fosse in atto una rivolta violenta da parte dei detenuti. Ma così non era. Le chat, recuperate dopo il sequestro dei telefoni cellulari dei poliziotti in servizio quella notte, ripercorrono quanto avvenne il 6 aprile e nei giorni dopo. Ed è emerso che dopo la rappresaglia, quindici detenuti furono confinati in isolamento in sette celle del reparto Danubio senza alcuna autorizzazione e soprattutto in assenza della prevista visita medica.

Uno di loro, affetto da schizofrenia, morì qualche giorno dopo. Il decesso avvenne in seguito all'ingerimento di sostanze oppiacee che, allo stato attuale, non si sa come l'uomo fece a procurarsi visto che era, per l'appunto, in isolamento. Per la Procura si trattò di morte a seguito del reato di tortura e maltrattamenti, Diversa la visione del gip secondo il quale si trattò di un suicidio. 

Tra i falsi contestati, inoltre, proprio per i quindici detenuti mandati in isolamento, ci sono i referti di negatività al Covid firmati da due medici dell'Asl di Caserta. La penitenziaria intendeva trasferire il gruppo (che peraltro fu falsamente indicato come quello dei facinorosi che avevano dato vita alla rivolta) ad altri istituti e, come da prassi, per poterlo fare, i quindici dovevano essere negativi al virus. I medici certificarono la negatività senza sottoporli al tampone «perché non avevano la tosse», la loro giustificazione.


Ultimo aggiornamento: Martedì 29 Giugno 2021, 07:30
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