Casa Vianello. Giorgia Trasselli, la tata di Sandra e Raimondo: «Da loro ho imparato leggerezza e serietà»

L'attrice racconta in un libro i 20 anni della sit-com

Casa Vianello. Giorgia Trasselli, la tata di Sandra e Raimondo: «Da loro ho imparato leggerezza e serietà»

di Totò Rizzo

Da cinquant’anni in arte (li festeggia nel 2023), teatro con i grandi maestri (da Squarzina a Sbragia), cinema con Magni, Ferreri, Vanzina, popolari fiction tv da “Don Matteo” a “Un medico in famiglia”, a “Distretto di polizia”: eppure Giorgia Trasselli è per tutti “la tata”, il personaggio che davanti alle telecamere ha interpretato più a lungo – vent’anni – nella sit-com “Casa Vianello”. Un tale doppione di se stessa che, quando gli episodi andavano in onda, per strada le chiedevano se davvero abitasse con Sandra e Raimondo. E adesso ha deciso di raccontare quell’esperienza (e le altre) in un libro, “Scusi, lei fa teatro? La tata più famosa d’Italia, tra palcoscenico e tv”, complice il giornalista Massimiliano Beneggi (edizioni D’Idee, 160 pagine, 16,90 euro).

 

Il titolo del libro è la domanda che le fece Raimondo Vianello al provino.

«Sì, da noi c’è un po’ il pregiudizio dei “compartimenti stagni” come se fare l’attore sul palcoscenico fosse diverso dal farlo sul set cinematografico o televisivo. Comunque il fatto che io provenissi dal teatro giocava certamente a mio favore davanti a Sandra e Raimondo che da attori di teatro – tra rivista e prosa – avevano cominciato».

Come arrivò a quel provino?

«Fu il mio agente a propormelo mentre ero in una pausa della tournée con Sbragia. Mi disse: “Fanno questa cosa in tv, hanno visto delle tue foto, sono interessati”. Non sapevo nemmeno cosa fosse una sitcom, comunque mi presentai. C’erano Vianello e il suo coautore di fiducia, Sandro Continenza, uno che aveva scritto sceneggiature per Steno e Monicelli, copioni teatrali per Totò e Sordi. Tempo dopo mi arrivò la parte da mandar giù a memoria. Io pensavo dovessi interpretare un ruolo diverso, magari una vicina di casa, e invece…».

Le toccò un classico da Commedia dell’Arte, la “servetta”.

«Ma sì, alla fine era tutto un gioco di maschere e io ero Colombina».

Che cosa ha imparato in vent’anni con la premiata ditta Vianello-Mondaini?

«A lavorare con leggerezza che, attenzione, non vuol dire superficialità. Eravamo consapevoli di non recitare Cocteau ma al tempo stesso c’erano una cura, un rispetto assoluti del pubblico e delle sue aspettative».

Com’era la coppia più popolare della nostra tv durante le riprese?

«Raimondo molto serio, concentrato. Pretendeva che la squadra di sceneggiatori fosse presente durante le registrazioni in modo che, se qualcosa non convinceva, si potesse modificare all’istante. Precisissimo.

Sandra sdrammatizzava un po’ la tensione del set, grande professionista anche lei».

Il suo rapporto con i due?

«Con Raimondo più formale. Ci davamo dei lei. Dopo il successo clamoroso della prima serie, quando ci ritrovammo per la seconda mi disse: “Visto, Giorgia, che ce l’abbiamo fatta?”. “Sono davvero felice, signor Vianello”. E lui: “Ma non ci davamo del tu?”. E azzerò quella distanza. Con Sandra c’era più confidenza, le parlavo dei miei figli, del mio quotidiano, del lavoro in teatro».

Ed erano “litigarelli” anche fuori copione?

«Tra moglie e marito c’erano grande affetto e altrettanta stima, un’intesa che ho trovato poche volte in altre coppie unite nella vita e nell’arte. E anche molta tenerezza: non potrò mai scordare certi gesti di Raimondo quando lei era stanca dopo una giornata sul set o le attenzioni di Sandra quando prima di battere un ciak lui aveva un capello fuori posto o una giacca che gli cadeva male».

Che ricordo ne ha, dopo tanti anni?

«Ricordo è una parola che suona strana. Per me è come fossero ancora qui, come se non fossero mai andati via».

Vent’anni di fila in un ruolo: c’è di che sentirsi prigionieri.

«Ci sono stati, in verità, dei momenti in cui ho scalpitato, ho avuto voglia di fare cose nuove. Una volta andai da un funzionario Mediaset e glielo dissi. Mi rispose: “Lei magari adesso si sente costretta in questo ruolo ma vedrà, passerà alla storia della televisione”. Non aveva torto: nel mio piccolo…».

Guarda caso, in queste settimane fa di nuovo una “tata” in una fiction di Canale 5. È un destino.

«Sì, faccio Bice in “Fosca Innocenti” con Vanessa Incontrada. Ma è tutt’altra “tata”: una contadina toscana amorevole nei confronti della sua figlioccia ma anche molto pragmatica. La “tata” di “Casa Vianello” – che non ha mai avuto un nome, era solo “la tata” – era un po’ pasticciona».

E intanto, a teatro, è in tournée con due spettacoli.

«Sì, sono nonna Trieste in “Parenti serpenti” con Lello Arena che portiamo in scena da più stagioni, siamo arrivati alla 250ª replica. E poi c’è “Indagine su Alda Merini: non fu mai una donna addomesticabile” con il quale mi accosto in punta di piedi alla poetessa, personaggio fragile ma gigantesco. In platea a Milano c’era una delle figlie, è venuta a salutarmi in camerino, commossa».

Sul palcoscenico ha più il gusto del rischio.

«Mi piace sperimentare. Adesso sto studiando lo spettacolo della prossima stagione, un testo di Andrea Bizzarri, “Matilde”, una donna che ha una radio e inventa al microfono storie deliziose. Poi si scopre che sotto c’è qualcosa di inquietante, un rovescio della medaglia che lascerà di stucco gli spettatori. E qui taccio».

In tv invece non vorrebbe azzardare?

«Lancio un appello: basta con le “tate”. Vorrei fare una detective, mi piacerebbe tanto. Un personaggio ironico, ovviamente, nelle mie corde».


Ultimo aggiornamento: Martedì 8 Marzo 2022, 10:08
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