Vasco Barbieri e il nuovo singolo: «Questo disco è la mia vittoria»

Vasco Barbieri e il nuovo singolo: «Questo disco è la mia vittoria»

di Ida Di Grazia
Lo scorso 13 settembre è uscito a “Little Bit of Present”, il singolo di Vasco Barbieri, giovane cantautore romano dalla storia incredibile. Quando si descrive dice di essere nato due volte, la prima il 6 agosto 1985, la seconda il 30 aprile del 1993 quando all’età di sette anni cade dal secondo piano ed entra in coma. Quando si sveglia riporta gravi danni alla vista, si avvicina al pianoforte e senza aver mai suonato prima esegue ad orecchio una canzone. Un potenziale che i genitori hanno stimolato e supportato sempre.

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Cosa rappresenta per lei la pubblicazione del suo singolo?
«È una vittoria, è un inno, finalmente ho rotto il guscio. Avevo bisogno di tornare a credere in me stesso e citando Vasco Rossi le canzoni nascono da sole … mi sono iniziate a formicolare le mani e questa sequenza di parole è il risultato di un percorso che vuole unire le proiezioni del futuro senza abbandonare il passato »
 
Cosa intende quando dice che con questa canzone ha imparato ad accettare la sua follia?
«Dopo l’università, io ho studiato Filosofia, ti guardi intorno e vedi che tutti sanno cosa vogliono fare mentre io ero lì nell’iperuranio. Mi sentivo diverso, strano. Con il tempo ho iniziato a capire che nella mia stranezza andavo bene così. Ho imparato a ballare con i miei fantasmi. L’unica cosa che si può fare con le proprie paure è abbracciarle ed io l'ho fatto»
 
A soli nove anni va in America e scopre la musica classica, quando torna a Roma e studia presso l’Actor Studio, e si laurea in Filosofia. Cosa ha imparato?
«Ho fatto un percorso esagerato. Sono tre sfaccettatura della stessa cosa. La musica classica forse è la più completa perché prova ad unire attraverso formule matematiche le emozioni, penso a Bach, Mozart ecc. È il primo gradino per capire come funziona la razionalità dell’uomo. Il teatro mi ha insegnato il Background, il retrobottega dell’inconscio, recitare non vuol dire fingere ma far uscire aspetti di se stessi. La filosofia mi ha fatto poi scoprire il perché di tutto ciò. Il perché del perchè».
 
Questi perché da dove nascono?
«Dal coma. Dal trauma cranico che ho avuto a sette anni. Io ho completamente cancellato i miei primi sette anni. Ho recuperato qualcosa ma non tutto, sono per lo più sensazioni, per questo poi scrivo in inglese. Quando mi sono risvegliato dal coma io stavo a scuola americana e il mio ciclo interiore è ripartito da quella lingua. L’italiano lo sto scoprendo ancora oggi, il nuovo Vasco forse scriverà in italiano. Quando sono rinvenuto dopo un anno di rianimazione ho suonato il pianoforte e hanno visto in me un potenziale»
 
Il singolo come sta andando?
«Sono felicemente sorpreso, io ho scritto questa canzone come se fosse una pagina di diario, poi un giorno sono arrivati questi signori della Maqueta Records che hanno visto qualcosa in me. Anzi hanno tirato fuori qualcosa che io non avevo il coraggio di tirare fuori. Abbiamo dovuto combattere per avere un buon arrangiamento e ho scoperto di essere felice di avere torto, perché ho imparato tanto. Se va tutto bene, per novembre uscirà un nuovo singolo, mentre l’album nel 2020»

Oltre alla promozione del singolo e casa nuova, di cosa si sta occupando?
«Provo a mandare avanti una relazione, sto scrivendo un romanzo e aiuto mia madre nella galleria d’arte “Edieuropa” che vi invito a vedere se vi piace l’arte contemporanea. Per il momento non farò dei live, ma non so fino a quando resisterò, perché voglio suonare dappertutto».
 
La sua famiglia l’ha ispirata all’arte?
«Tra i poli fondamentali del mio percorso c’è sicuramente mio nonno Duccio Barbieri, che a 84 anni ha inciso le prime canzoni. Grazie a lui ho avuto il coraggio di farlo anch’io. Poi ho scoperto che anche la mia bisnonna era un’artista. La parte musicale nasce a Roma, quella artistica, di mia madre, in Toscana»
 
A quali musicisti si isipira?
«Il sogno di qualunque musicista come me sarebbe quello di raggiungere gli universi paralleli dei Pink Floyd, la spazialità Keith Jarrett, la profondità di Leonard Cohen, l’umanità di Phil Collins, l’emotività dei Commodores»
 
Con quali artisti vorrebbe collaborare o scrivere?
«Dato l’impegno sociale che ha esercitato su di me e la morale che condivido, sicuramente Fiorella Mannoia. A livello musicale adorerei collaborare con Benjamin Clementine, mi piacerebbe lavorare con Robbie Williams per la semplicità e felicità dei suoi pezzi. Mi piace unire passato e presente, accettare la contraddittorietà  »
Ultimo aggiornamento: Lunedì 30 Settembre 2019, 08:37
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