Sanremo 2021, Orietta Berti: «Il mio dodicesimo Festival? Io non volevo, Amadeus sì»

Sanremo 2021, Orietta Berti: «Il mio dodicesimo Festival? Io non volevo, Amadeus sì»

di Totò Rizzo

L’usignolo di Cavriago spicca il volo per Sanremo. «Non ci volevo andare al festival – confessa Orietta Berti – ma c’è questo cofanetto con 6 cd che esce in primavera e il mio manager, l’ultimo giorno utile per inviare i brani, mi ha detto: “Dai, mandiamo ad Amadeus "Quando ti sei innamorato", magari gli piace...”. Gli è piaciuta». Eccola qui, la Berti, veterana della rassegna, alla dodicesima partecipazione. Mancava dal 1992, con Giorgio Faletti aveva cantato «Rumba di tango».

Orietta, che effetto le fa?

«Sono sincera: nessuno in particolare, se non fosse per il senso di stanchezza che, dopo il Covid, è raddoppiato. Scendi a Roma a provare con l’orchestra, risali a Milano per chiudere le ultime tracce del disco, torna a casa in Emilia…».

È stato pesante il Covid…

«Parecchio. Ci siamo ammalati tutti: io, mio marito Osvaldo, mio figlio Otis. L’unico a non prenderlo è stato Omar, il maggiore. E la spossatezza fisica… Nuovo disco a parte, che provavamo via web, con i lavori di casa chi poteva fermarsi? Noi stiamo in campagna, abbiamo gli animali, compresi i due molossi che escono e rientrano dal giardino, è stato tutto un continuo lavare con la candeggina, disinfettare con l’amuchina…».

Comunque adesso state meglio e il disco è pronto.

«I dischi, perché sono sei. C’è tutto: dai successi alle sigle televisive, ai duetti. Ex novo. E poi la grande soddisfazione di venti inediti con una grande orchestra. Due anni fa ho cominciato a tampinare i miei amici musicisti, ho scoperto perfino una tra le ultime cose scritte da Bacalov, ho lanciato l’appello anche ai giovani autori: gli ho raccomandato “purché sia buona melodia italiana e senza scopiazzature computerizzate”. Qualche bella sorpresa è arrivata».

Adesso c’è il Festival: molti del cast potrebbero essere suoi figli o suoi nipoti. Magari le chiederanno consigli...

«Ma che consigli, i ragazzi oggi non ne hanno bisogno, sanno già tutto. Più della metà non li conosco, spopolano sul web, fanno successo con le visualizzazioni, altro che la vendita dei dischi».

Il Sanremo del Covid le mette paura?

«Paura no. Curiosità, ansia. Saremo blindati, albergo-teatro-albergo, niente interviste, niente pubblico, niente fan per le strade. Sarà tutto diverso».

Trucco e parrucco in albergo, lo sa già.

«Truccarmi l’ho sempre fatto da sola, per pettinarmi tribolo un po’. Mi dicono che comunque ci sarà una sarta, forse una stireria: non è bello presentarsi con una sgualcitura».

A proposito: la vestirà Nicola Cerioni, del cui stile si legge «ha un tocco dissacrante».

«Non si allarmi.

Non è un stilista, è un creativo che dice al sarto come vuole realizzare l’immagine nel complesso partendo dal vestito. È lui che disegna i capi di Achille Lauro».

Allora mi allarmo.

«Ma i miei saranno capi sobri, eleganti, magari con un tocco finale originale».

Non vorrei finisse come il famoso abito a strisce del Sanremo 1969. Ricorda?

«Come potrei non ricordare? Quante polemiche, si parlò più di quel vestito che delle canzoni. Noschese ci si ispirò per una mia imitazione e alla fine si faceva adagiare sulle strisce pedonali. Era un modello di Mila Schön. Bellissimo: giallo, bianco e nero, tutto lamè. Ce l’ho ancora, sa? Mica lo buttavo. A quel tempo, con quel che costava, ci potevi quasi comprare casa».

Ha fatto pace con «Io, tu e le rose» che diceva di cantare malvolentieri dopo che fu citata – a Sanremo del ’67 – dal celebre biglietto d’accusa di Tenco?

«Ho dovuto, il pubblico me l’ha sempre chiesta. Io, così come tanti altri – anche familiari e amici di Luigi – all’autenticità di quel biglietto non ho mai creduto. E comunque la mia canzone andò in finale perché il pubblico la stravotò mentre Tenco fu eliminato dall’ultima serata anche per colpa dei giornalisti che avevano la possibilità di ripescare i brani bocciati e con il suo non lo fecero. Perché? Intanto sulla mia canzone restò per anni quel segno negativo e la stampa ha continuato a parlare male della mia musica».

Ultima volta al Festival con Faletti, nel ’92.

«Un ricordo bellissimo. Giorgio era geniale, simpatico, gentile, generoso. Un buon amico. Ogni volta che scendeva giù a Roma passava da qui e si pranzava insieme. L’ultima volta l’ho visto per caso a New York, ero lì per dei concerti, lui per delle ricerche per il suo nuovo libro. Senza saperlo nello stesso albergo, si apre l’ascensore e insieme “e tu che ci fai qui?”. Mi manca tanto».

Dicono: Orietta non ha mai sbagliato una nota. Come fa?

«La voce è uno strumento particolare: studio ed esercizio, anche solo un’ora al giorno».

La Berti usignolo di Cavriago, la Zanicchi aquila di Ligonchio, Milva pantera di Goro. Cos’era, l’aria buona dell’Emilia?

«Mi sa che erano il Lambrusco, il Parmigiano, i tortelli... Comunque, qui si cantava tutti da bambini: c’era un repertorio popolare per la semina, uno per la trebbiatura, uno per la vendemmia, c’erano quelli dei vari mestieri».

Si divertiva a cantare, ieri come oggi. E si diverte a fare la tv?

«Molto, devo ringraziare Costanzo e Fazio che hanno creduto in me. Ma non sono un personaggio, sono me stessa, non c’è copione, non c’è finzione».

Un desiderio post-Sanremo.

«Quello che hanno tutti, tornare alla benedetta normalità. Basta “buonanotte nonna” in videochiamata. Voglio che mia nipote Olivia mi dica “buonanotte nonna” abbracciandomi».


Ultimo aggiornamento: Lunedì 15 Febbraio 2021, 19:02
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