Fabrizio Moro: «Io, come Rocky»

Fabrizio Moro: «Io, come Rocky»

di Rita Vecchio
C'è un tempo per seminare e uno per raccogliere: lo ha capito Fabrizio Moro. Reduce dal podio sanremese e dall'Eurosong di Lisbona con Ermal Meta, domani sera suonerà all'Olimpico.
È pronto?
«Tecnicamente, sì. Emotivamente un po' meno».
Riti scaramantici?
«Il segno della croce, bevo un bicchiere di vino e poi salgo sul palco. Quando sai che c'è tanta gente la preoccupazione è di fare uno spettacolo al top».
Di strada ne ha fatta.
«Vent'anni fa andavo nelle piazze ed era tutto da dimostrare. Stavo male. Era rabbia da marciapiede».
Che significa?
«Avevo la frustrazione di chi fa quello che non vorrebbe. Soldi che non ci sono, lavori che non sono i tuoi, contesto che non ti piace. Vivevo a San Basilio, ho lavorato nell'officina di mio padre, come ambulante di gadget, come cameriere. Percorso difficile, prima di arrivare qui».
Rispondi alle domande, non cercare di scappare
«E invece, sono tante le domande da cui scappo. Come quelle sulla mia instabilità in amore. Ho scoperto la paternità e, con essa, il senso della vita, ma non riesco ad avere una relazione duratura».
È felice?
«Sì, anche se penso a quello che viene dopo e non riesco mai a godermi il successo del momento».
Torniamo al concerto. Meta, Mannoia, Ultimo, gli ospiti. E Curreri?
«Non mi ha più risposto, mannaggia a lui. Fa il permaloso. Lo scriva pure».
Effetti speciali?
«Tre ledwall e la scaletta tra successi, pezzi dell'ultimo Parole rumori e anni suonato per intero e l'unplugged».
Come si sentirà domani?
«Come Rocky Balboa: aveva più caparbietà che talento e correva dietro alle galline. La vita è imprevedibile e tutto può accadere. Anche a me di fare l'Olimpico».
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Ultimo aggiornamento: Venerdì 15 Giugno 2018, 11:56
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