Non solo medici di famiglia ma anche pediatri di libera scelta: si allarga il paniere dei professionisti che effettueranno i tamponi rapidi. L’accordo è stato sottoscritto alle 23 del 27 ottobre scorso e da ieri è partito il confronto con la Regione Lazio per dar modo anche agli specialisti che curano i bambini da zero a 16 anni di poter effettuare i test diagnostici. Non quelli molecolari ma i tamponi veloci antigenici che danno l’esito in 30 minuti.
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«SUPPORTO NECESSARIO»
«È una chiamata alle armi - spiega Teresa Rongai, segretaria della Fimp, la Federazione italiana medici pediatri di Roma - siamo in guerra e anche noi dobbiamo essere d’aiuto e fare la nostra parte». A livello regionale ci sono poco meno di mille pediatri, 330 solo nella Capitale che nelle prossime settimane saranno operativi per le analisi. Anche perché da settembre, con la riapertura delle scuole e i primi raffreddori di stagione, proprio i pediatri per poter autorizzare i piccoli, con sintomi riconducibili al Covid-19, a tornare a scuola dovevano richiedere i tamponi per escludere o accertare eventuali positività al virus senza dunque poter fare diagnosi nei propri ambulatori ma contribuendo, invece, ad aumentare il lavoro dei Sisp, i Servizi di igiene e sanità pubblica delle singole Asl.
LE MODALITÀ
L’accordo è chiaro e contempla una modalità precisa per l’esecuzione dei test: per i professionisti che non hanno ambulatori con spazi idonei a svolgere le analisi, potranno essere richiesti dei luoghi alternativi alle aziende sanitarie locali, incluse «eventuali strutture fisse e/o mobili - si legge nell’accordo - rese disponibili dalla Protezione civile o dal Comune». Per i pediatri cosiddetti “fragili” perché «è possibile che ci siano colleghi affetti da patologie, immunodepressi o rientranti nelle categorie a rischio», conclude la Rongai ci potranno essere delle deroghe.
LO STUDIO
La Regione ha poi resi noti i risultati di uno studio sui positivi scovati da agosto ad oggi: l’età media dei malati è di 41 anni e per il 51% si tratta di uomini. Di tutti i casi analizzati negli ultimi mesi il 6,4% ha richiesto un ricovero ospedaliero, lo 0,6% si trova in terapia intensiva mentre il 93% - diversamente dalla prima ondata di marzo - è seguito a domicilio. Ciò che va sottolineato è che i tre quarti dei casi sono asintomatici giacché il 38,8% delle diagnosi deriva dal “contact tracing” e il 34% dallo screening. «Il tracciamento - commenta l’assessore alla Sanità Alessio D’Amato - è fondamentale, il prossimo obiettivo è quello di arrivare ad un incremento ulteriore dei casi testati del 40%».
Ultimo aggiornamento: Venerdì 30 Ottobre 2020, 07:55
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