Carabiniere ucciso, «Mario era un gigante buono rispettato anche dai delinquenti»
di Raffaella Troili
Alla sorella piccola di 16 anni diceva «fatti carabiniere», ai familiari ripeteva «venite a Roma», ricordano, usciti alla spicciolata dall’obitorio, mentre arrivano da dentro urla addolorate di donne: «Mario, Mario, voglio Mario».
«Era entrato nei carabinieri subito dopo la morte del padre, era la sua passione. A casa da allora tutto girava intorno a lui. Ma anche qui in città ormai lo conoscevano tutti, quando venivo a Roma me ne accorgevo - continua il cugino - Mario era Mario. Se continua così bisogna andarsene dall’Italia, non si può morire così».
Quando scendeva al paese chiedeva: «Hai visto il giornale ieri sera? Abbiamo preso due? Era un combattente, in servizio e fuori. Ora è finito tutto».
IL PAPÀ DELL’AMICO
C’è anche Vincenzo Varriale, il padre di Andrea, l’altro militare che era con Mario. «Spero prendano provvedimenti seri, in Italia non si vive più, sia fatta giustizia», dice. «Non ho parlato con mio figlio di cosa è successo, è stato refertato ed è subito uscito per andare in Procura e collaborare alle indagini. Conoscevo bene Mario, come no. Era stato a casa mia. Aveva preso a cuore mio figlio quando è venuto a Roma da Napoli, sotto la sua ala protettiva, gli aveva insegnato il mestiere».
UN SORRISO INDIMENTICABILE
Arrivano i commercianti di Tor Millina, le signore del quartiere Regola, i rappresentati della Comunità ebraica. Un piccolo mondo dove l’umanità di Mario non era passata inosservata. Il suo sorriso soprattutto. In quell’angolo di Roma il vice brigadiere aveva portato euforia contagiosa e bontà. Così non c’è persona, commerciante, tabaccaio, collega, superiore che non ripete: «Era stato pure a mangiare a casa mia». E soprattutto, la beffa più grande, «era rispettato anche dai delinquenti», ricorda commosso Sandro Ottaviani, il comandante della stazione di piazza Farnese, un gigante buono, come era Mario.
Ultimo aggiornamento: Sabato 27 Luglio 2019, 03:30
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