«L’accordo di fondo è raggiunto. Ci sono tutte le premesse per chiuderlo, ma il diavolo è sempre nei dettagli ed è meglio essere prudenti», dice Carlo Calenda. Ancora più cauto Matteo Renzi: «Domani (oggi, ndr.) ci vediamo e decidiamo. L’intesa non è chiusa, ma auspico che si faccia: sono ottimista e prudente». Eppure, in barba ai tatticismi, chi conduce la trattativa in nome e per conto dei due leader per la costruzione di quello viene battezzato «Polo del buonsenso», dà per fatto (o quasi) l’accordo. E oggi dovrebbe esserci l’ufficializzazione, anche se Renzi non esclude uno slittamento a domani.
La giornata è stata scandita da numerose telefonate tra Calenda e il leader di Italia viva. Ed Ettore Rosato, Enrico Costa, Matteo Richetti, incaricati di limare i dettagli, hanno disegnato un’intesa che suona così. Primo: il Terzo polo non sarà una coalizione, ma verrà rappresentato da una lista unica. Sia per avere la certezza di superare la soglia del 3%, sia per scongiurare il rischio di ricorsi contro la lista di Azione che non è ancora del tutto chiaro se debba o meno raccogliere le firme per essere presentata. Secondo: nel simbolo ci sarà il nome di Calenda, cui Renzi ha deciso di riconoscere il ruolo di front runner pur di portare a casa l’alleanza, affiancato dagli stemmi di Azione, di Italia viva e, forse, di Renew Europe: la comunità politica del presidente francese Emmanuel Macron cui vuole fare riferimento Renzi. Terzo: i seggi saranno divisi a metà. Il 50% a Calenda, che in un primo momento pretendeva il 60%, ma ha ceduto in cambio della leadership. E l’altro 50% tra Italia viva e la Lista civica nazionale di Federico Pizzarotti, il grillino eretico ex sindaco di Parma.
Che questo sarà l’epilogo è confermato da Calenda: «Stiamo lavorando a una lista unica con una chiara indicazione della leadership». Ma fino a ieri sera gli sherpa dei due partiti hanno litigato sulla distribuzione dei seggi sicuri («solo nel proporzionale, nell’uninominale non si toccherà palla...») e di quelli contendibili, che dovrebbe essere fatta in base al principio dell’alternanza.
Le convergenze
Di certo, Calenda e Renzi già parlano la stessa lingua. E mostrano di avere aspettative e strategie convergenti. Primo punto: la bocciatura dei sondaggisti. «Ci danno insieme al 4%? Non mi preoccupo. Quella stima è fatta dal sondaggista del Pd», dice il capo di Azione. «Sono certo che raggiungeremo un risultato a due cifre», sopra il 10%, azzarda il leader di Italia viva.
Secondo punto: la convinzione che, strappando voti a Forza Italia, «si possa ottenere un pareggio andando bene nel proporzionale del Senato. E così si potrà fare un governo di unità nazionale guidato da Draghi. Non a caso Berlusconi ci attacca», teorizza Renzi parlando con La Stampa. Calenda conferma: «L’obiettivo è costruere una coalizione larga che chieda a Draghi di rimanere a palazzo Chigi. Meloni va battuta sul terreno del proporzionale, al Senato. Io mi candiderò lì».
Terzo punto di convergenza: per entrambi i leader «Meloni non è un pericolo per la democrazia», come invece sostiene Enrico Letta, «ma per le casse dello Stato». Renzi docet. E Calenda: «Meloni sta promettendo un programma elettorale da 80 miliardi, senza dire dove li andrà a prendere...».
Non manca un botta e risposta tra ex alleati. Emma Bonino ha attaccato a testa bassa il leader di Azione per aver rotto il patto siglato con il Pd: «In tutta la mia lunga vita politica mai avevo visto un voltafaccia così repentino, immotivato e truffaldino». La replica di Calenda: «Cara Bonino, io sono una persona educata. Ho avuto per te solo parole di stima. Cerca però di non perdere il controllo di te stessa. Grazie».
Ultimo aggiornamento: Giovedì 11 Agosto 2022, 08:57
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