Elezioni politiche 2022 All'inizio è stato amore. Matteo Renzi premier e Carlo Calenda ministro dello Sviluppo economico. Felici e contenti, al grido: «Siamo l'Italia del fare». Ma in poco tempo il rapporto tra i due si è logorato. Non a caso, proprio ieri, il leader di Azione ha ricordato: «Io con Renzi ho governato quattro anni, abbiamo sempre litigato però le cose le abbiamo fatte». E questo sembra essere lo schema, tra abbracci e bisticci, del promesso Terzo polo «del buonsenso».
Tutti e due sono patiti dei social. Entrambi brandiscono i tweet come armi nucleari. E vengono definiti «imprevedibili». Enrico Letta ancora si ricorda il famoso «Enrico stai sereno», scandito da Renzi poco prima di sfrattarlo da palazzo Chigi nel febbraio del 2014. E al Nazareno si leccano le ferite per ciò che è avvenuto la settimana scorsa: patto elettorale siglato da Calenda il martedì e stracciato la domenica. «Se è come Renzi? Ma no, non c'è paragone. Calenda è davvero un caso unico», ha sibilato Letta tra le macerie dell'alleanza larga.
Per dirla con un dirigente di Azione: «Matteo e Carlo somigliano a quelle calamite che si attraggono e si respingono». Due leader nati protagonisti, che dovranno trovare il modo di rafforzarsi a vicenda anziché farsi la guerra. E del resto, per dirla con Renzi a questo giornale non più tardi di tre giorni fa: «Insieme noi due possiamo fare il botto».
Quando martedì Calenda ha ipotizzato una front runner donna e tutti hanno pensato a Mara Carfagna: «Impensabile, uno come lui non cederebbe il timone a nessuno. Neppure a sua figlia, figurarsi alla Carfagna...», ha osservato subito chi lo conosce bene. Tant'è, che alla fine il nome che comparirà sulla lista comune (se com'è probabile si farà) sarà proprio quello dell'ex ministro.
C'è chi, come Letta, sostiene che Calenda ha «tradito il patto siglato con me per paura di Renzi che gli avrebbe rubato i voti moderati». Di certo, quando ha visto il capo di Italia viva rifiutare le avance (poco convinte del Pd) e annunciare di lavorare a una lista di centro, Calenda ha rotto gli indugi e ha stracciato l'accordo che l'avrebbe visto in coabitazione con Nicola Fratoianni. «Io con uno così non ci prendo neppure un caffè». E' stato più forte il richiamo della corsa in solitaria, il tentativo di replicare la campagna elettorale per le elezioni comunali di Roma quando, «da solo contro tutti e tutto», come ama ricordare il capo di Azione, «ho ottenuto il 20%». Primo partito a Roma, prima di Fratelli d'Italia e del Pd. Iv appoggiò Calenda: ruppero subito dopo il voto.
Ma con questa legge elettorale simil-maggioritaria e con lo sbarramento al 3%, il Terzo polo è diventato un obbligo e una necessità.
IL BERSAGLIO CONDIVISO
Di punti in comune ce ne sono pure altri. Sia Renzi che Calenda hanno transitato per il Pd. E l'hanno terremotato. Il primo da segretario, il secondo da semplice iscritto. Proprio da premier e da leader dem, una volta finito il primo amore (chissà se ne sboccerà uno nuovo), Renzi nel marzo del 2016 spedì Calenda a Bruxelles nel ruolo di rappresentante permanente dell'Italia presso l'Unione europea. Una sorta di esilio dorato, da cui il leader di Azione è stato strappato da chi ce l'aveva spedito nominandolo ministro dello Sviluppo al posto di Federica Guidi. Incarico che Calenda ha conservato nel governo guidato da Paolo Gentiloni.
Ad unire la strana coppia è anche l'avversione per i 5Stelle. Quando Renzi - dopo la crisi del governo gialloverde aperta ad agosto 2019 da Matteo Salvini - riesce a far nascere un esecutivo con Pd e grillini, Calenda prende e strappa la tessera del Partito democratico. Al grido: «Mai con quelli incompetenti!». Renzi aspetta poco più di un anno, il gennaio del 2021, per maturare la stessa avversione e seguire le orme del suo ex ministro. Come? Sbarrando la strada al Conte ter e spalancando le porte al governo di unità nazionale guidato da Draghi. E qui i due si ritrovano. Oggi si replica. Forse.
Ultimo aggiornamento: Venerdì 24 Febbraio 2023, 01:58
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