Siamo a un passo dall’epilogo giudiziario dell’opaca operazione di compravendita dell’appartamento di Montecarlo lasciato in eredità nel 1999 dalla contessa Annamaria Colleoni all’ormai defunto partito di Alleanza Nazionale. Ieri, i pm Barbara Sargenti e Maria Teresa Gerace hanno chiesto ai giudici della quarta sezione penale del Tribunale di Roma la condanna a 8 anni per l’ex presidente della Camera Gianfranco Fini, accusato di riciclaggio in concorso con la compagna, il cognato e il suocero. Per Elisabetta Tulliani sollecitata la pena di 9 anni, per il fratello Giancarlo Tulliani (tuttora latitante a Dubai) la reclusione a 10 anni e per il padre Sergio Tulliani a 5 anni. In aula era presente l’ex leader di An, insieme alla sua dolce metà. «Era scontato che l’accusa chiedesse la condanna - ha commentato Fini - Continuo ad avere fiducia nella giustizia, in ragione della mia completa estraneità alle accuse».
La compagna, che durante le indagini preliminari si è sempre avvalsa della facoltà di non rispondere, ieri ha deciso di rilasciare dichiarazioni spontanee al collegio, scaricando tutta la responsabilità su suo fratello. «Ho nascosto a Fini la volontà di Giancarlo di comprare la casa di Montecarlo, né gli ho mai detto la provenienza di quel denaro, che ero convinta fosse di mio fratello - ha spiegato Elisabetta, lasciandosi andare alla commozione - Il comportamento spregiudicato di mio fratello rappresenta una delle più grandi delusioni della mia vita». La stessa versione era stata sostenuta in aula a marzo 2023 dall’ex presidente della Camera: «Sono stato ingannato da Giancarlo e dalla sorella Elisabetta. Solo anni dopo ho scoperto che il proprietario della casa era Tulliani e ho interrotto i rapporti con lui». Ma con la compagna non li ha mai interrotti, nonostante il contraccolpo politico subito in seguito all’inchiesta.
L’IMPIANTO ACCUSATORIO
Inizialmente nel processo erano imputate altre persone, tra cui Amedeo Laboccetta, ex deputato del Pdl, e il “re delle slot” Francesco Corallo, titolare di un’impresa concessionaria di gioco legale. Quest’ultimo era stato arrestato il 13 dicembre 2016 a Sint Maarten, nelle Antille olandesi, con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata al peculato, al riciclaggio e alla sottrazione fraudolenta del pagamento delle imposte.
Rientra nella contestazione di riciclaggio anche il bonifico da 2,4 milioni di euro con la causale «liquidazione per il decreto 78 del 2009» arrivato dalle società di Corallo sul conto corrente di Sergio Tulliani, impiegato dell’Enel in pensione, proprio in concomitanza con l’approvazione del decreto legge che «apportava - si leggeva negli atti - enormi vantaggi a Corallo perché gli offriva la possibilità di offrire in pegno i diritti sulle videolottery». Il denaro a lui bonificato, Tulliani lo ha poi girato ai figli: a Elisabetta 550 mila euro e a Giancarlo 1,2 milioni di euro, tramite 12 assegni da 100 mila euro ciascuno. I reati contestati, secondo il gip Simonetta D’Alessandro che firmò l’ordinanza cautelare, «avrebbero connotato un’intera fase politica, toccando in profondità l’ordinamento economico dello Stato». Secondo i pm, Corallo e Fini erano legati da un rapporto di amicizia: l’imprenditore catanese ospitò Fini in vacanza a Sint Maarten e quest’ultimo lo invitò nel 2009 a Montecitorio per il battesimo della seconda figlia avuta da Elisabetta. La sentenza è attesa il 18 aprile.
Ultimo aggiornamento: Giovedì 18 Aprile 2024, 11:34
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