Da 'lollare' a 'schieratello', passando per 'truzzo':
guida pratica per lo slang giovanile a Roma

Da 'lollare' a 'schieratello', passando per 'truzzo': ​guida pratica per lo slang giovanile a Roma

di Lorena Loiacono

L’interrogazione a sorpresa? «Te pia a male». Le scarpe alla moda «so' ciotte» e se buchi con lo scooter «è amara». Parole incomprensibili? Forse. Ma non a tutti. Come del resto accade per ogni slang che si rispetti. E quello masticato dagli adolescenti romani detta le regole, linguistiche ovviamente.


Basta un gruppetto di ragazzini, una battuta e un’occhiata di intesa. La lingua li accomuna ma taglia fuori tutti gli altri. Soprattutto mamma e papà che, ritrovandosi improvvisamente analfabeti, chiedono continuamente: “ma che vuol dire?”. E allora ecco un pratico glossario: ridere a crepapelle diventa «lollare» e il verbo ha un’etimologia che val la pena di approfondire. Deriva da lol, utilizzato inizialmente sui social network come acronimo internazionale di laugh out loud: «ridere ad alta voce».

Basta poco e il termine viene prima importato nella Capitale e poi giustamente riadattato: a romanizzarlo ci vuole un attimo ed ecco che nasce il più romanesco «fammè lollà». Se invece non c'è niente da ridere e ci si ritrova davanti a qualcosa di brutto, è opportuno esprimersi con un fa rate o un altrettanto dispregiativo che sbratto. Ma in entrambi i casi l'origine della parola è decisamente oscura. Così come l'espressione di apprezzamento, legata a qualcosa di particolarmente bello come un capo di abbigliamento o un ragazzo, si realizza con un quanto sei ciotto: vale a dire grosso, nel senso di potente, imponente, forte.
La sfumatura di significato ovviamente, e qui i romani sono imbattibili da sempre, viene data dall'intonazione della voce e dalla gestualità. E allora quando ci si sente dire stai ar ciocco, con uno sguardo serio e il dito puntato, conviene guardarsi intorno perché l'interlocutore sta lanciando l'allerta: vale a dire stai attento. Oppure se qualcuno, mosso a pietà o con uno sguardo preoccupato, esclama sei sfranto, vuol dire che l'aspetto della persona che ha di fronte non è dei migliori: stai a pezzi, sei distrutto. Spesso, conviene ricordarlo soprattutto ai genitori, questa espressione si usa per i ragazzi ridotti male dalla stanchezza ma anche dall'alcol o da varie forme di stravizi più o meno leciti.

Restare delusi, perdere l'interesse verso qualcosa o veder scemare l'euforia di una volta si esprime con il triste m'è scesa: ad esempio “volevo andare a ballare ma adesso m'è scesa” oppure in campo affettivo “mi piaceva quella ragazza ma m'è scesa”. Praticamente una perdita di entusiasmo. Quando invece accade qualcosa che rattrista, ci si esprime con un presa a male se papà non dà il consenso per uscire , se piove e non si gioca a pallone, se il compito in classe è insufficiente. Al contrario, se la prof è assente o se sabato sera si esce tutti insieme, si esulta con un gioioso presa bene. In questo caso, linguisticamente, è da notare la perdita della a. Chissà perché poi.

Apparentemente inspiegabile anche l'espressione mezzo che nazzica: corrisponde ad una sorta di Yes we can alla romana dove mezzo significa un po' e nazzica dà quel senso di opportunità: si potrebbe tradurre con un si può fare, credo ci si riesca, non ho nulla in contrario. A questo punto ci si può imbattere in una proposta indecente del tipo Imbrasamo? Mezzo che nazzica: in questo caso vuol dire che l'interlocutore sta proponendo di imbucarsi ad una festa, di presentarsi quindi senza invito assicurando di non creare problemi a nessuno. Più o meno.

Esiste poi tutta la terminologia politica con cui gli adolescenti inquadrano i diversi schieramenti: ai vecchi e resistenti fascio, camerata, pariolino da un lato e zecca e compagno dall'altro, si aggiunge ora lo schieratello. Termine più che altro dispregiativo, a presa in giro, del quindicenne che, senza conoscerne veramente i contenuti, sposa l'ideologia fascista atteggiandosi come un truzzo. Truzzo? In questo caso l'origine sembra essere tutta milanese: il truzzo romano è il coatto di una volta. Mamma e papà lo definirebbero così, un boro.
Ultimo aggiornamento: Mercoledì 4 Febbraio 2015, 12:37
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