Caso Maugeri, l'ex dg del San Raffaele Botti:
"Il metodo Daccò un cancro per la Regione"

Caso Maugeri, l'ex dg del San Raffaele Botti: ​"Il metodo Daccò un cancro per la Regione"

di Angela Calzoni
Il «metodo Daccò», quello usato dal faccendiere che, secondo la Procura di Milano, aveva il compito di “ammorbidire” i vertici della Regione con tangenti in cambio di delibere favorevoli alla Maugeri e al San Raffaele, in realtà «era un cancro che andava via via ampliandosi».





Lo ha spiegato ieri Renato Botti, ex direttore generale della Sanità al Pirellone e del San Raffaele, nel corso del processo sul crac della Maugeri. Tra gli imputati, oltre allo stesso Daccò e ai vertici della Fondazione, c'è anche l'ex governatore lombardo Roberto Formigoni, accusato di corruzione. Botti, stanco del suo lavoro in Regione, nel 2003 era passato alla direzione all'ospedale di don Verzè. Gia dal 2005 però, come ha riferito in aula rispondendo alle domande del pm Laura Pedio, aveva iniziato a nutrire «preoccupazione» per il modo di agire di Daccò. Il faccendiere a suo avviso utilizzava «strumenti illeciti e metodi corruttivi».



Don Verzè, morto il 31 dicembre 2011, e il suo braccio destro Mario Cal, che si è suicidato il 18 luglio dello stesso anno, secondo Botti erano «persone disinvolte e la presenza di Daccò non era certo positiva». Il manager ha spiegato di non sapere «se siano state pagate effettivamente tangenti» ma ha definito l'attività di Daccò come «un sistema fatto di pressioni su istituzioni pubbliche legate non a regole ma a rapporti personali». Approccio che, secondo Botti, «non era corretto». Anche da parte dei vertici del San Raffaele non c'era trasparenza. «Don Verzè e Cal ritenevano di doversi affidare nelle gare a persone che conoscevano da tempo» più che alle vie ufficiali . «Da parte loro c'era una smania di crescita - ha concluso il manager - che non era sostenibile dal punto di vista finanziario».
Ultimo aggiornamento: Venerdì 7 Novembre 2014, 11:57
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