Maradona, Napoli e la camorra: «Diego e noi Giuliano, ecco la vera storia»

Maradona, Napoli e la camorra: «Diego e noi Giuliano, ecco tutta la vera storia»

di Daniela De Crescenzo

«Non dimenticherò mai la notte in cui conobbi Maradona. Arrivò nella casa di mio zio, Luigi Giuliano, quando lui era in carcere e il palazzetto di vico Pace a Forcella era abitato da un altro dei miei zii, Carmine, che vi passava la latitanza. Al piano terra c’era una grande sala con un biliardo. Diego entrò, prese una boccia e se la mise sul piede. La palla rotava su se stessa e non cadeva.  

Restammo muti, poi Carmine lo abbracciò e gli disse: “Sei un mostro”. Lo toccava in continuazione e continuava a ripetere “Sei un mostro, sei un mostro”. Ma Maradona, invece, era Dio»: Luigi Giuliano, che oggi ha 48 anni e vive a Reggio Emilia dove si è trasferito dopo aver inanellato e pagato una lunga sfilza di reati, è il figlio di Nunzio Giuliano, il primo dei figli di Pio Vittorio, ed era lì con i suoi zii, Carmine e Raffaele quando fu scattata la famosa foto che li ritrae con Maradona accanto a una vasca da bagno a forma di conchiglia. Una foto che ha poi perseguitato el pibe.

Era il 1986 e Maradona era a Napoli da due anni. I Giuliano erano i «re» di Forcella, ma Nunzio, il primo dei figli di Pio Vittorio, il capostipite, si era già allontanato dal quartiere. Non aveva mai voluto fare il boss, racconta il figlio, e quando il primogenito aveva cominciato a drogarsi aveva tappezzato il quartiere di manifesti contro l’eroina. Poi era andato a vivere a Chiaia, dove aveva sognato una vita diversa per sé e per i suoi figli. Poco tempo dopo era stato arrestato per accuse poi rivelatesi infondate dopo quattro anni di carcere. «E io e mio fratello ce ne tornammo a Forcella: là eravamo i Giuliano, ci sentivamo importanti. E facevamo quello che volevamo». Fu così che Luigi partecipò alla festa in onore di Diego Armando Maradona. 

 

«Carmine Giuliano era un patito del Napoli e chiese a un capotifoso di fargli incontrare Maradona», racconta Luigi che all’epoca aveva quattordici anni. «Era passata mezzanotte e noi ragazzi armati presidiavamo il quartiere per controllare che non ci fosse la polizia in giro. Ma Maradona è Maradona e io non volevo perderlo, perciò ogni tanto lasciavo il posto di guardia ed entravo nel palazzetto dove si svolgeva la festa. Lui, il nostro mito, era lì e rideva, scherzava con tutti. Mio zio gli stava accanto, lo abbracciava continuamente. Parlavano tra di loro, credo che discutessero soprattutto di pallone. E poi bevevano champagne. E ridevano, ridevano tanto».  

E la cocaina? «Credo che mio fratello ne avesse portata una busta, era un po’ come lo champagne, ravvivava la festa. Ma Maradona non era venuto a Forcella per quello. No. Lui era venuto per noi, era venuto perché noi glielo avevamo chiesto. Io credo che non si fosse assolutamente domandato se fosse giusto o meno andare da un camorrista, da un latitante. Lui era così, era uno che non si negava a nessuno. E quella era una festa con delle persone che lo adoravano. Lo ripeto: non era venuto per la coca, non era venuto per compiacerci e tantomeno perché qualcuno glielo aveva imposto, era venuto perché tramite un amico lo avevamo invitato.

Era la star della festa e si divertiva come gli altri». 

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E poi ci fu la famosa foto, quella che anni dopo, ritrovata nel corso di una perquisizione, finita in un fascicolo sbagliato e poi pubblicata dal Mattino, diventò la prima avvisaglia di una vita in bilico. «La vasca a conchiglia era al piano superiore – racconta Luigi Giuliano – era nascosta da un armadio. Si entrava nel guardaroba e poi attraverso un’altra porta si andava nella stanza con la conchiglia dove Maradona si fece fotografare con i miei zii». 

Quella sera fu la prima che Diego passò con i Giuliano, ma non certo l’ultima. «Lui e Carmine diventarono amici – racconta Luigi – e continuarono a incontrarsi. Diego partecipò al matrimonio di mio cugino, anche lui Luigi Giuliano, che tutti chiamavano Zecchetella, e poi a feste e comunioni. Io, invece, lo ho incontrato spesso nei locali alla moda che frequentavamo entrambi. Ero un ragazzino anche se a quattordici anni giravo armato e guidavo auto e moto: facevo il gradasso, ma come tutti davanti a Diego mi ammutolivo». 

 

Nell’87 quando il Napoli vinsero il primo scudetto, i Giuliano trasformarono Forcella in un enorme ristorante, in un locale all’aperto dove l’intero quartiere brindò alla sua squadra e al suo capitano: Diego Armando Maradona. Fu festa di clan? «Noi eravamo Forcella – ricorda Luigi – I miei nonni con il contrabbando avevano dato lavoro a tutto il quartiere, noi e il rione eravamo una cosa». 

E Forcella, forse non era poi così diversa dal barrio di Buenos Aires dove era nato e cresciuto il ragazzo d’oro del pallone. Perciò Maradona e Forcella, erano destinati a intendersi. Al di là della cocaina, al di là della camorra. E la festa dello scudetto fu memorabile: fu costruita una tavola che dal Duomo arrivava fino a via Pietro Colletta. 

Tutto era azzurro e l’immagine di Diego copriva i muri insieme al magico scudetto. Notti magiche. Come magiche furono le giornate di tripudio del secondo scudetto. Poi cominciò il buio. Maradona andò via e la sua vita cominciò a essere divorata dalla cocaina. 

Nel 2005 Nunzio fu ucciso per una vendetta trasversale e i Giuliano tornarono a essere quello che in fondo erano sempre stati: non re, ma clan di malavita falciata da morti, latitanze, carcere e pentimenti. Una famiglia da cui fuggire. Diego no, Diego, drogato e maledetto, per Luigi e per i tanti ragazzini che lo sognarono, quelli buoni e quelli cattivi, è rimasto sempre e solo Dio. 


Ultimo aggiornamento: Domenica 29 Novembre 2020, 18:50
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