Arabia Saudita: donne allo stadio ma restano in carcere le attiviste che si battono per i diritti
di Simona Verrazzo
Le tifose di calcio come prova delle riforme da mostrare al mondo, ma – paradossalmente – restano ancora in carcere molte attiviste diventate simbolo proprio della difesa dei diritti delle donne. Il caso più noto è quello di Loujain Al-Hathloul, perché tra le più impegnate per la fine del divieto femminile alla guida, torturata in prigione, tanto che sua sorella aveva scritto una lettera al segretario di Stato USA, Mike Pompeo, alla vigilia della visita in Arabia Saudita, quasi un anno fa.
Ma Loujain non è la sola a essere ancora detenuta. L’ultimo giro di vite, a fine novembre, ha portato dietro le sbarre una decina di giornalisti, tra loro anche Zana Al-Shahri, che scrive per il magazine Al Asr, e Maha Al-Rafidi, firma del quotidiano Al Watan.
Sulle sorti di Samar Badawi le indiscrezioni si rincorrono. Negli scorsi mesi era stata annunciata, via social network, la sua esecuzione, mentre Amnesty International ha confermato che è viva ma rinchiusa in carcere, dove sta scontando una condanna a vent’anni. Samar è impegnata per la fine del 'sistema del guardiano', la figura maschile, appartenente alla famiglia, che controlla la vita delle donne, inoltre è la sorella dell’attivista scrittore e blogger Raif Badawi, a cui sono state inflitte, oltre alla prigione, anche 1000 frustate in pubblico.
Ancora non libera, bensì sottoposta a regime di isolamento, è Nassima Al-Sada, scrittrice, membro della minoranza sciita spesso sottoposta a forte repressione. Si stima che gli sciiti sauditi siano circa il 15 per cento della popolazione e le associazioni in difesa dei diritti umani continuano a denunciare le discriminazioni che li colpiscono per il solo fatto di aderire alla corrente islamica che è maggioritaria in Iran, il principale nemico dell’Arabia Saudita nella regione del Golfo.
Ultimo aggiornamento: Lunedì 23 Dicembre 2019, 08:44
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