Gli "embedded" di Mussolini: Fabio Fattore racconta gli inviati di guerra
di Mario Landi
Se uno pensa all’informazione in un regime non democratico, le prime cose che gli vengono in mente sono la censura e le veline. Nel caso specifico del fascismo: il Minculpop, il ministero della Cultura popolare, che con il suo controllo rigido trasforma i mass media in contenitori di bugie e omissioni. La verità, però, è più complessa e può nascondere qualche sorpresa. Ad esempio, un sistema caotico dove chi dirige la stampa non è un’autorità unica, ma tante e in conflitto tra loro. È quello che succede in Italia durante la Seconda guerra mondiale. Se da un giorno all’altro sono gli stessi giornalisti, che dovrebbero essere abituati a un ventennio di censure e autocensure, a lamentarsi in privato per tanti articoli bloccati o mutilati, significa che è successo qualcosa di nuovo e strano. Qualcosa che, di fatto, rende più fluido il confine tra l’informazione in una dittatura e in una democrazia – la guerra scombina le regole, anche oggi le cronache belliche sono soggette a condizionamenti forti: militari che ostacolano l’accesso alle fonti o manipolano le notizie, giornalisti che faticano ad andare oltre al colore, senza contare poi i tributi da pagare alla propaganda e al segreto di Stato. Fabio Fattore, redattore del Messaggero e già autore di altri saggi di storia del giornalismo, affronta la questione nel libro “Gli inviati di Mussolini.