Errore Fatale: mi hanno inoculato il vaccino sbagliato

Errore Fatale: mi hanno inoculato il vaccino sbagliato

di Marco Mottolese

Ci scusi, abbiamo scambiato le fiale... per sbaglio le abbiamo inoculato il vaccino per prevenire l’insorgenza dell'amore…

Tornavo in bicicletta dall’ambulatorio dove, grazie alla mia professione, ero stato vaccinato con una certa solerzia. Tra un lockdown e l’altro avevo preso l’abitudine di girare in bici, sistema infallibile per sfuggire agli stringenti controlli. Sentii il cellullare vibrare in tasca mentre godevo di un istante zen: finalmente verso casa e la puntura, che da sempre scatenava in me ataviche fobie, era solo ricordo; il fondo dell’aria invernale, arrivando in superficie, slittava in una primavera che già voleva raccontarsi.

Quando le stagioni si danno il cambio godo di quella staffetta: ci si accomoda in una situazione di mezzo e, sebbene abituati -poniamo al freddo- percepiamo che il sostituto è in arrivo. Così riconosci sin da piccolo i quattro cambiamenti climatici che ricompongono il volto di ogni anno: un eterno ritorno che stabilizza. Nel prendere incautamente il telefono dalla tasca faccio attenzione a non atterrare direttamente sul marciapiede sbirciando il numero fisso anticipato da un prefisso antico (06 …) non più abituati a vedere e che, quando appare, fa subito pensare a qualcosa di grave, o a una scocciatura. Mi fermo, è quel prefisso che lo impone, non è nome o cognome conosciuto, di quelli ai quali puoi concederti anche per una telefonata instabile, come nel pericolante equilibrio in cui mi trovavo io, pedalante e senza auricolari.

Pronto? Buongiorno signore volevamo avvisarla e scusarci davvero ma in ambulatorio le abbiamo somministrato un vaccino sbagliato….il resto della frase - non si preoccupi, non è in pericolo di vita - suonava come uno scherzo: sbagliare vaccino è assurdo ma plausibile, può capitare, scambio di armadietti e voilà ti inoculano un vaccino precedente, per la meningite o il vaiolo, ma in quella frazione di tempo, in cui immaginavo lo scambio fatale, non posi la giusta attenzione al resto della frase: serve a prevenire l’insorgenza dell’amore… E poi, dopo breve pausa: … - lei non sa quanti ce lo chiedono - capii così che mettevano le mani avanti a dire… guardi, lei ovviamente non lo ha assunto volontariamente, ma molti proprio lo pretendono e lo ottengono, insomma è in buona compagnia, non si preoccupi, non ha controindicazioni... Io sono sempre stato abituato, non so se dalla vita o da me stesso, a ricevere le notizie forti con una certa dose di tranquillità.

Quando ero piccolo, forse nove anni, realizzai che la vita aveva un termine, che prima o poi tutti moriamo, e fu allora che concepii, intorno a questa auto rivelazione, un pacchetto di difesa dalle turbe della vita che faceva leva su una frase che spesso mi gironzolava in testa: “tanto poi si muore”. Affannarsi, preoccuparsi, a volte struggersi, ha un senso relativo, se tutto ha una fine e né io, uomo perituro, né gli altri perituri intorno a me, ricorderemo quel dramma, quell’incidente, piccolo o grande che sia stato, una volta difronte al buio, alla fine, al nulla che comunque attende tutti, laggiù in fondo al viale. Così, tornando al vaccino – del quale nemmeno mi dicevano il nome scientifico - mi sentivo allo stesso tempo stranito e sereno, l’idea che l’amore sia apparentato ad un virus -e che in virtù di un vaccino si possa prevenire o evitare del tutto - non sembrava una cattiva idea. Piuttosto, ero stupito di non essere al corrente di quella opportunità. Così pensavo, mentre – ed ero ancora immobile sul marciapiede con la bicicletta stretta a me, telefono in mano, linea aperta- : …signore, signore, mi sente? Se vuole può tornare qui subito, abbiamo un antidoto, lo sa che un vaccino, per combattere o prevenire il nemico, si traveste da suo simile e quando entra nel corpo lotta con l’intruso - senza che noi si possa far nulla se non attendere, sperare - … Scusi il divagare, se crede sia un problema per lei torni pure subito, proveremo ad annullarne l’effetto, è disponibile il contro vaccino che la riporterà allo stato precedente.

Interruppi la conversazione senza avere alcuna voglia di rispondere e mentre tentavo goffamente di spegnere il telefono, come fanno i ragazzini per risolvere drasticamente un problema di cuore, feci in tempo ad ascoltare queste ultime parole mentre sfumavano : “Allora l’aspettiamo?...”. Già, pensai, mi devono aspettare? La giornata si era annunciata in maniera diversa. Ero sollevato dal poter attraversare i miei simili senza la paura del contagio, il sole splendeva e soffiava luce a quell’aria fresca che mi entrava di forza nei polmoni (nel momento della chiamata stavo affrontando una leggera salita e ovvio, un po’ ansimavo) e tutto questo mi rendeva felice di stare al mondo. Ragionai: si può sopravvivere senza innamorarsi? Oddio, se l’amore è una malattia l’avevo già avuta, anche più volte ; mi reputavo persona sana e dunque, malanni e amori, sempre pervenuti con dosaggi bassi e non letali - forse in virtù di quel “tanto poi si muore”- avevano tracciato, nella mia esistenza, una linea drastica tra stare bene e stare male. L’amore, in ere diverse della mia esistenza, si era inequivocabilmente presentato, e ora che lo potevo vedere dall’alto, come qualcosa che non può più far male, mi appariva come i cerchi concentrici dei tronchi tagliati, quei disegni geometrici che ti raccontano l’età dell’albero che fu. Io, di cerchi “amorosi”, ne avevo non pochi all’interno della mia corteccia, e fu in quel momento che mi chiesi se fosse o meno il caso di aggiungerne altri a quel curriculum vegetale che sembrava concluso.

Certo, essere innamorati è virus potente, difficile da estirpare senza l’intervento risolutivo (e alternativo alla puntura) che considero l’unico antidoto naturale: la quotidianità che, seppur lentamente, in tutti sviluppa immunità. Allora: torno o non torno all’ambulatorio? Feci due calcoli. Se l’amore è un virus e se esiste il vaccino per bloccarlo, allora chi lo ha vissuto è già fuori pericolo, perché gli anticorpi in circolo lo difenderanno per sempre. “Pronto? Si sono quel signore al quale avete inoculato il vaccino sbagliato, quello che previene dall’amore. Ecco, volevo dirvi che non importa, non mi serve l’antidoto. Io l’”amore” l’ho già avuto, sa quanti anticorpi ho in mia difesa? No, no, non torno, risposi così alle loro gentili insistenze probabilmente dettate dalla paura di fare scandalo: UOMO VACCINATO PER SBAGLIO: NON POTRA’ PIU’ AMARE… eccolo il titolone del giorno dopo.

La chiamata andava conclusa seminando un monito ma, mentre mi accingevo a parlare, dall’altro capo del filo erano passati ad altri problemi.

E dettando la mia unica lamentela, che sarebbe caduta nel vuoto - non vengo ma fate più attenzione, se quello che è successo a me capita a chi cerca l’amore vi ritrovate la folla sotto l’ambulatorio - salii in bicicletta e iniziando a pedalare mi sentii più leggero.

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Marco Mottolese nasce a Reggio Calabria. Ha vissuto a Londra, Perugia e Milano e attualmente a Roma. In queste città si è diviso tra creatività e management utilizzando la scrittura come collante del suo lavoro. Ha pubblicato libri di poesia, racconti , un saggio a quattro mani sui graffiti urbani e periodicamente “presta la sua penna” per attività di ghost writing.


Ultimo aggiornamento: Lunedì 29 Marzo 2021, 08:18
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