Molti si affannano a dire che l'Epidemia è finita, comunque sia ora rimangono le "macerie" con cui continueremo a fare i conti

Molti si affannano a dire che l'Epidemia è finita, comunque sia ora rimangono le "macerie" con cui continueremo a fare i conti

Chi si è occupato di Covid in questi due anni a livello mediatico - e dunque parlo di scienziati, giornalisti, politici in primis – in questi giorni sente la necessità di megafonare, ognuno a modo proprio, che corriamo verso la fine della pandemia. Tutti – me compreso, come in questo caso- ci stiamo prendendo una bella responsabilità, sebbene il calo dei contagi, la diminuzione drastica delle presenze negli ospedali e la decrescita dei morti - che ogni giorno segnavano e segnano la “missione compiuta” del virus - segnalano che la situazione si stia ammorbidendo.

In altri paesi a noi vicini, dunque parlo dell’Europa, paesi che sono entrati nel dramma dopo di noi ma decisi ad uscirne prima, il Covid è già quasi messo alla porta: leggasi Inghilterra, Europa del nord, Francia, nazioni che in maniera sistematica diffondono questa notizia: “si torna alla vita normale; smettiamo di controllare i singoli come entità pericolose o nocive, il virus, se deciderà di rimanere tra noi, sarà solo un pericolo in più da correre tra quelli già abbondantemente presenti sulla terra”. Dunque, come sempre, la vita trionfa sulla vita, e non per planare sul sempreverde “mors tua vita mea” - le insidie nascoste nel lasciar andare il virus per la sua strada statisticamente potrebbero ancora lambire chiunque – ma perché quando si è stanchi ci piace staccare la spina e pensare che “domani è un altro giorno”.

Ho sempre percepito il virus come un cattivo maestro, di quelli che si fanno odiare però lo sai che mentre dalla cattedra parlano e ti osservano, male e con sufficienza, se stai attento ascolterai cose importanti, dopo la lezione sarai comunque arricchito. Se solo ci guardiamo indietro per un attimo ci rendiamo conto che la pandemia ha assorbito le nostre vite al cento per cento, è stato per mesi e mesi l’unico argomento di conversazione, ci ha reso esperti di cose di cui prima neanche conoscevamo l’esistenza; siamo diventati tutti un po’ medici e farmacisti, abbiamo assunto l’amaro calice della televisione per abbeverarci ad una malefica pozione di notizie “virali” come se questo gesto omeopatico potesse preservarci la vita.

La mascherina è stata il dow jones del nostro quotidiano, un giorno su un giorno giù, e siamo entrati ovunque pronti ad esibire documenti personali come se ogni volta stessimo varcando una frontiera. E’presto per tirare le somme, capire cosa effettivamente ha combinato questa pandemia nelle nostre giornate così come è presto per sapere in quanto tempo la dimenticheremo.

Ci sono eventi i cui effetti si allungano nel tempo, come un’ombra discreta che aleggia sopra di noi della quale a malapena ci rendiamo conto, però una certa solidarietà tra umani è sbocciata, qualcosa che prima non vedevo, l’essere tutti a rischio nello stesso modo – come in guerra - non può non aver sprigionato sentimenti più umani, empatie prima inesistenti, formulato pensieri che erano rintanati chissà dove.

Rientriamo dunque alla base, dopo questa trasferta comune, acciaccati, stanchi, forse ancora privi di quelle energie che servono alla ricostruzione; le macerie questa volta non sono quelle dei dopoguerra perché non sono visibili e risiedono nelle nostre teste, assalite, colpite, fiaccate e che oggi necessitano di essere rivitalizzate. In questa rubrica non ho mai smesso di rifarmi ai più giovani e agli anziani, per me i più colpiti dalla pandemia perché, per i primi , si tratterà davvero di dimenticare - come dopo un incidente si ha paura di tutto e si è cauti - per i secondi, purtroppo, è la vita che si è accorciata, oppure complicata definitivamente.

Oggi a Roma la giornata è bellissima, penso a quante incredibili giornate di sole hanno vissuto i romani nei millenni e all’invincibile energia che si chiama “voglia di vivere” che anche solo un cielo terso sprigiona e che da sempre aiuta l’umanità a superare i drammi, naturali o indotti da noi stessi, e allora, affacciandomi alla finestra scrivo una cartolina che spedisco da un luogo nel quale non vorrò tornare. Il mondo ha solo bisogno di restauro, fino al prossimo problema globale, ma se dovremo catalogare il virus come un ennesimo pericolo con il quale stabilmente convivere, perlomeno potremo dire di conoscerlo bene.

In questi mesi hanno ristrutturato un palazzo difronte casa mia, impacchettato che neanche Christo, l’artista che incellophanava monumenti e natura. Per giorni ho visto operai salire, scendere, girare intorno alla base, insomma un gran daffare, modello formicaio. A un certo punto l’attività, nascosta all’interno dell’impacchettatura, ha impedito al mio sguardo di posarsi ancora. Non c’era più nulla da osservare; la “confezione” temporanea del palazzo era entrata a far parte del panorama. Il tempo passa, noto che iniziano a smontare l’impalcatura, pezzo dopo pezzo, rumore dopo rumore. Si svela un palazzo diverso da quello che era, pur avendone le medesime fattezze. Chissà, quella casa – nuova, ma solo in apparenza– somiglia alla nostra vita quando il virus avrà deciso di lasciarci in pace.


Ultimo aggiornamento: Domenica 13 Febbraio 2022, 12:40
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