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Così la Cassazione nelle motivazioni della sentenza con cui, lo scorso 30 maggio, le sezioni unite penali della Corte hanno sciolto il “nodo'”sui derivati della cannabis light, affermando che il commercio di questi prodotti rientra nella fattispecie di reato contenuta nel Testo unico sugli stupefacenti. La Corte richiama in proposito la giurisprudenza «che da tempo ha valorizzato il principio di concreta offensività della condotta, nella verifica della reale efficacia drogante delle sostanze stupefacenti oggetto di cessione», come ad esempio nei casi di "coltivazione domestica" di cannabis per cui è stato sancito che «è indispensabile che il giudice di merito verifichi la concreta offensività della condotta», con principi ribaditi di recente anche dalla Consulta. «Ciò che occorre verificare - si spiega nella sentenza - non è la percentuale di principio attivo contenuta della sostanza ceduta, bensì l'idoneità della medesima sostanza a produrre in concreto un effetto drogante».
E' un reato «l'offerta a qualsiasi titolo, la distribuzione e la messa in vendita dei derivati della coltivazione della cannabis sativa "», ma il giudice che si trova ad esaminare tali situazioni deve «verificare la rilevanza penale della singola condotta, rispetto alla reale efficacia drogante delle sostanze oggetto di cessione». Lo scrivono ancora le sezioni unite penali della Cassazione, nella sentenza sulla cannabis light, spiegando che «si impone l'effettuazione della puntuale verifica della concreta offensività delle singole condotte, rispetto all'attitudine delle sostanze a produrre effetti psicotropi».
Ultimo aggiornamento: Giovedì 11 Luglio 2019, 11:54
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