Era un nome già conosciuto quello di Kasmi Kasen, il 27enne albanese ucciso il 9 marzo scorso allo “Shake bar” di Frosinone. Un delitto tra la gente che ha sconvolto la comunità e che ha portato in carcere Mikea Zaka, 23 anni, anche lui originario dell’Albania ma come la vittima da anni residente in Italia. Il suo nome era conosciuto non per questioni di poco conto, ma addirittura per un’indagine finita da Frosinone alla Direzione distrettuale antimafia.
IL QUADRO
Un traffico internazionale di sostanze stupefacenti per il quale le indagini erano partite dalla Ciociaria fino ad arrivare lontano, alla presenza cioè della criminalità organizzata. In casi del genere, automaticamente, le carte vanno in antimafia ed è da lì che proseguono gli accertamenti. Che erano definiti, ma non al punto da far scattare eventuali misure cautelari. Dell’inchiesta, ovviamente, Kasmi Kasen non era al corrente ma non è un caso che dopo il delitto gli investigatori locali si siano concentrati su una sorta di “guerra” tra bande di albanesi per il controllo del mercato degli stupefacenti su Frosinone e non solo. Il fatto che Mikea Zaka avesse con sé 20.000 euro in contanti dentro casa, riconduce la disponibilità sempre alla vendita di droga.
GLI SVILUPPI
È proprio il traffico di droga, non il “semplice” spaccio o l’occupazione di case usate come base, che è stato al centro del recente comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica alla presenza del ministro dell’interno, Matteo Piantedosi.
Ultimo aggiornamento: Domenica 14 Aprile 2024, 07:00
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