L'AQUILA - «Questo è a tutti gli effetti un secondo terremoto». Il coronavirus ha messo in ginocchio il Paese, ma forse ancora di più una città, L’Aquila, che negli ultimi undici anni ha provato, con fatica, a risollevarsi dalla tragedia del 2009. E proprio quando la rinascita, fisica, economica e sociale, sembrava a portata di normalità, il virus si è abbattuto come un «flagello», per usare le parole del governatore Marco Marsilio. Lo certificano i numeri. Fino al 2 ottobre la città era sostanzialmente Covid-free, avendo passato quasi indenne la primissima fase: appena 124 casi totali, circondario compreso. In meno di due mesi il conto è arrivato a 3.457, sfiorando quota 8 mila se si allarga a tutta la provincia: un terzo dei contagi della regione, nel territorio meno densamente popolato. Un’incidenza in linea con quella di Milano che ha spinto la Regione ad auto-proclamarsi “zona rossa” prima ancora che lo facesse il Ministero della Salute. E a organizzare sul modello-Bolzano uno screening di massa senza precedenti: test rapidi su tutta la popolazione provinciale, oltre 300 mila persone in 108 comuni, nelle prossime due settimane.
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L'Aquila, giorni drammatici
Per L’Aquila sono stati 50 giorni drammatici che hanno riportato alla mente quelli del 2009 e spinto Marsilio a un paragone che ha fatto discutere: «E’ come Bergamo nella prima fase». Ospedale paralizzato, caccia forsennata ai posti letto, terapie intensive piene, pazienti bloccati al Pronto soccorso o in ambulanza, corsa al tampone-fai da te, focolai nelle case di riposo e nelle scuole (due chiuse dal sindaco Pierluigi Biondi) e, purtroppo, morti.
Le tappe
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Ultimo aggiornamento: Lunedì 23 Novembre 2020, 17:47
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