Stohr, l'ex pilota nella Terni di Borzacchini: "Come è cambiata la Formula 1, i miei pranzi con Gilles"

Stohr, l'ex pilota nella Terni di Borzacchini: "Come è cambiata la Formula 1, i miei pranzi con Gilles"

di Paolo Grassi

Molti appassionati di Formula Uno lo ricordano come il "pilota barbuto" della Arrows. Per chi lo conosceva e seguiva meglio era il "pilota psicologo". Sigfried Stohr. Nome e cognome tedeschi, papà tedesco, mamma italiana. Lui, italianissimo, è nato a Rimini. Oggi è impegnato nella sicurezza stradale e in pista grazie alla scuola "Guidare pilotare", da lui fondata a Misano Adriatico, per la formazione dei piloti applicando le tecniche di guida sicura. Quando può, partecipa a iniziative legate al mondo dei motori e delle auto. Come quella in Umbria, a Terni, per la "giornata del veicolo d'epoca", con esposizione e sfilata di vetture storiche e sportive. Per lui, da parte dell'associazione Autodepocaeventi di Acquasparta, organizzatrice dell'evento, anche un riconoscimento. Terni, poi, è anche la città che dette i natali a Mario Umberto Borzacchini, compagno di Enzo Ferrari e Tazio Nuvolari e morto in gara a Monza nel 1933. «Certo - dice Stohr - e anche dei grandi campioni di motociclismo Libero Liberati e Paolo Pileri. Quelli di Borzacchini erano tempi eroici ma difficili. Si correva sulla sopraelevata di Monza, circuito dove smontavano i freni per essere più leggeri. Si rischiava la vita di più e si doveva gestire il mezzo. La macchine si rompevano spesso e se uscivi di pista non avevi vie di fughe». Lui, però, ricorda i miti che seguiva da bambino. Uno, in particolare: «Jim Clark. Con quella bella Lotus verde cucita per lui come un vestito». Lo colpì anche la morte di Lorenzo Bandini avvenuta a Montecarlo nel 1967. «Il mio casco - rivela - lo dedicai proprio a lui, oltre che al motociclista Jarno Saarinen, morto a Monza nel 1973». Ricorda i suoi esordi, dai go kart a una carriera cominciata grazie a un paese che si tassò per lui. «Cominciai quasi povero. Quando mi presero in nazionale, andai a correre in Germania. Pioveva e partii con le gomme da asciutto. Mi chiesero perché, risposi che non avevo gomme da bagnato». Nel frattempo si dedicava anche ad altro. «Divenni psicologo e lavoravo per il Comune. Coi primi soldi mi comprai una moto, ma un mio cugino mi sconsigliò di correre con quella. Scelsi le auto, per correre. In Formula Italia, grazie ai soldi prestati di mio padre, che poi gli ho ridato, gareggiai e persi il titolo all'ultima gara. Continuai grazie a un intero paese, Sant'Agata sul Santerno, dove tutti si autotassarono per permettermi di correre ancora». In Formula Uno arrivò nel 1981, ingaggiato dalla Arrows. In un mondiale grandi firme. C'erano Alan Jones, Carlos Reutemann, Nelson Piquet, Alain Prost, Nigel Mansell, Mario Andretti, Renè Arnoux, Keke Rosberg, Jacque Laffitte, Didier Pironi. Ma soprattutto, Gilles Villeneuve. «Con Gilles - racconta Stohr - andavo particolarmente d'accordo. Lui e Pironi erano i soli con i quali andavo a pranzo. Io ero un solitario, nel paddock. Non sono mai andato nemmeno alla cena di Montecarlo in smoking. Mai avuto uno smoking, proprio. E mai avuta nemmeno la residenza nel Principato. Avevo molta simpatia per Andretti, un tipo particolare. A Zolder, quando scendemmo dalle vetture per manifestare coi meccanici per una loro protesta, fu dato il via al giro di lancio. Io ero preoccupato e non sapevo cosa fare, Mario mi guardò e disse: "Tranquillo, senza di noi non partono". Con un sorriso che ancora ricordo bene». Suo compagno di team era Riccardo Patrese. «Più che un compagno, un avversario. Alla mia prima gara gli chiesi un consiglio e mi dette informazioni sbagliate». La sua era un'altra Formula Uno, rispetto ad oggi. Tempi in cui i piloti italiani al via erano tanti. «A qui tempi, in Italia c'era tanta passione per la Formula Uno. E c'erano tanti piloti con un papà ricco alle spalle. Oggi c'è meno attenzione sui piloti italiani. In più, c'è una ventata di stranieri che vengono qui a correre e con i papà che acquistano i loro team». Nella Formula Uno di oggi, chi sono i migliori? «Lewis Hamilton e Max Verstappen, sicuramente. Ma ci metto pure Charles Leclerc. Ce ne sono anche tanti altri, bravi, ma con meno esperienza. Poi, bisogna anche vedere le squadre e le vetture. Sono tanti, gli elementi. Oggi contano molto muretto e strategie. Noi, non avevamo nemmeno la radio. Ma un paragone tra oggi e allora, non si può nemmeno fare». Stohr è stato anche uno dei primi ad occuparsi di sicurezza in pista, al di là dell'attività con la sua scuola. «Mi sono sempre battuto, per questo. Una volta sollevai il problema prima di una gara. Mi sentii rispondere: "Se hai paura, non correre". Io, però, corsi. E vinsi la gara». Oggi, però, sono stati fatti grandi passi. «Certo. Soprattutto in Formula Uno. Bene così. Ma al di là di questo, penso che i piloti debbano comunque sentire l'impegno che hanno verso il pubblico. Non si può nemmeno fare un gran premio dietro una safety-car! A Spa, nel 2021, per esempio (partenza ritardata per colpa della pioggia forte e gara interrotta in anticipo dopo soli due giri dietro alla safety car, ndr), hanno fatto due soli giri rubando i soldi agli spettatori».


Ultimo aggiornamento: Lunedì 17 Ottobre 2022, 08:49
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