Gabriele Corsi: «Con il mio karaoke in formato jukebox farò cantare tutti gli italiani»

Corsi: «Con il mio karaoke in formato jukebox farò cantare tutti gli italiani»

di Rita Vecchio

Un programma appena partito, reso divertente dall’ironia e dall’irriverenza di Gabriele Corsi.Don’t forget the lyrics - Stai sul pezzo” - su NOVE dal lunedì al venerdì alle 20,25 (in streaming su Discovery+) - è il nuovo format del karaoke in versione jukebox che in tre manche conduce i concorrenti a una vera e propria gara. Con un pubblico che, secondo gli ascolti, pare avere apprezzato.


La musica nei titoli di tanti programmi, anche nel suo. Non ne riusciamo più a fare a meno?
«La musica è determinante. Non pensavo che Don’t forget the Lyrics in una sola settimana diventasse un mini cult. La formula karaoke è molto diffusa e Sanremo ha aiutato in questo».

 
Il programma viene dagli Stati Uniti: perché in Italia si tende a importare i format? 
«Me lo chiedo anche io. Per pigrizia e per la voglia di non rischiare, è più facile partire da un programma già costruito. Anche se poi noi italiani li rendiamo più belli degli originali. Sembra presuntuoso, ma noi come maestranze e produzioni siamo avanti». 


Insieme a Malgioglio, commenterà nuovamente l’Eurovision per il pubblico di Rai1. Pronti? 
«Sì. Cercheremo di raccontare e di divertirci. Con leggerezza che, come diceva Gigi Proietti, è il contrario della stupidità.

Lavorare con Cristiano è davvero un grande piacere». 


Una tv generalista che punta ai giovani. Che pensa?
«Trovo corretta la scelta. Anche Don’t forget ha avuto apprezzamento da parte loro nella fascia che va dai 15 ai 21 anni. C’è uno svecchiamento di tv e radio voluto da una new wave a livello direttivo, che sia Rai o Discovery (per fare un esempio). Stimoli e linguaggi nuovi, sono quello che ci vuole». 


Teatro, tv, radio. Cos’altro le manca?
«Il musical. Mi piacerebbe».


Sempre con il Trio Medusa?
«Non so. Certo, non li farei cantare. Furio (Corsetti, ndr) è stonato come una campana». (ride, ndr)


Si parla di politically correct: non ce ne è troppo anche nell’arte?
«Chi fa il mio lavoro deve rischiare ed essere scorretto. Il problema vero è saperlo fare. Checco Zalone lo sa fare. Benigni, che è riuscito a fare un film sull’olocausto, senza indignare, pure. La verità è che si usa il politically correct per tutto. Dovremmo studiare talenti di un tempo, penso a Corrado e al suo cinismo comico, a Vianello, Tognazzi, Chiari. Si chiama preparazione e gavetta. Quello che oggi servirebbe di più».


Ultimo aggiornamento: Giovedì 17 Febbraio 2022, 19:37
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