Noa: «Nel mio festival la musica è un ponte per unire tutti»

La cantante israeliana presenta L'Arca di Noa

Noa: «Nel mio festival la musica è un ponte per unire tutti»

di Claudio Fabretti

«Nell’Arca di Noa ci si diverte ascoltando tanta musica da ogni parte del mondo. Là dentro la vita è bella». Fa risplendere il suo sorriso, Noa, riecheggiando il titolo del celebre film di Benigni che la vide protagonista con l’omonimo tema musicale, diventato un inno universale di pace. Ed è proprio con questo spirito che la cantante israeliana si accinge a promuovere la seconda edizione del suo “Noa’s Ark Festival”: quattro giorni di eventi musicali, in programma dal 22 al 25 giugno 2023 ad Arona, sul Lago Maggiore.


Che obiettivo si pone in questa seconda edizione?
«Divertirci, anzitutto. E poi promuovere grandi artisti che non sono mai stati in Italia. Ad esempio, il 22 giugno, ci sarà il pianista David Fray, il più ispirato suonatore di Bach della sua generazione, che vanta una carriera brillante da solista e musicista da camera. I suoi concerti alla Carnegie Hall costano anche 200 dollari, noi ve lo facciamo ascoltare a prezzi accessibili per tutti».


Ma, come al solito, non mancheranno le occasioni per riflettere sulle grandi questioni internazionali...
«Vediamo la musica come un ponte, una vela, una mano tesa, una luce nel buio, che riesce ad abbattere le barriere e a superare i conflitti. Ad esempio, abbiamo questo progetto berlinese Sistanagila, una band di musicisti iraniani e israeliani. Loro sono la dimostrazione vivente di come la musica sia lo strumento migliore di pace e convivenza. Ed è simbolico che la loro città sia proprio Berlino, ex teatro degli orrori nazisti e di quelli della guerra fredda, e oggi città aperta, liberale e interculturale».


Il suo è sempre stato un messaggio di pace. Oggi però il mondo non sembra molto pacifico: dalle guerre all’intolleranza crescente. Come si può uscirne?
«Bisogna lottare ogni giorno, fare la propria parte e sentirsi responsabili. Lo faccio anche nel mio paese, che sta vivendo una fase drammatica: c’è un governo eletto democraticamente che cerca di sovvertire la democrazia, siamo sull’orlo di una dittatura e bisogna sostenere le proteste di tanti israeliani che scendono in piazza.

Poi, oltre alle guerre, c’è questa ondata di intolleranza, fomentata da politici ultra-conservatori scaltri e opportunisti, nel nostro caso anche da autorità religiose che vogliono riportarci indietro di duemila anni. Anche i partiti della sinistra hanno le loro responsabilità: non hanno capito la sincera paura delle persone, sono stati arroganti e superficiali. Ma io sono ottimista, bisogna cercare la via di mezzo del Buddhismo: alla fine il messaggio di amore e tolleranza prevarrà».


Che cosa ricorda dell’esperienza del 1997 di “La vita è bella”?
«Quel film resta tra i miei preferiti. È stato spesso frainteso, accusato di ironizzare su una tragedia, eppure dice proprio quello di cui parlavamo prima, che anche nell’orrore, l’amore riesce alla fine a prevalere, a far filtrare la sua luce. Un’esperienza bellissima di cui conservo anche le amicizie speciali con Roberto Benigni e Nicola Piovani».


Del resto, ha sempre avuto un legame speciale con l’Italia. Ha anche partecipato alla festa scudetto del Napoli di domenica scorsa. Com’è andata?
«Mi ha chiamato direttamente il presidente Aurelio De Laurentiis. Ho visto questo numero sconosciuto e ho risposto. Mi ha detto che l’aveva avuto da Benigni e che voleva invitarmi a questo evento speciale. E ho subito accettato per il mio grande amore per Napoli».


Un amore anche musicale...
«Sì, ho fatto anche un disco, “Noapolis”, in cui riprendevo alcuni tra i più bei brani della canzone classica napoletana. Napoli mi piace perché è città di contrasti: è buio e luce, sofferenza e gioia. È una città che ti trasmette una grande energia».


Ha un nuovo disco in programma?
«Certamente, ma non so quando lo pubblicherò. Forse l’anno prossimo».


Ultimo aggiornamento: Martedì 6 Giugno 2023, 08:01
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