Ferran Adrià: "L'alta cucina
diventerà democratica"

Ferran Adrià: "L'alta cucina ​diventerà democratica"

di Gigi Padovani
TORINO - Per anni stato il cuoco pi famoso della cucina d’avanguardia: corteggiato o aspramente criticato dai media. Lo chef catalano Ferran Adri, che il 30 luglio 2011 ha chiuso il suo ristorante el Bulli quando era al culmine della fama, torna in scena con una Fondazione (www.elbullifoundation.org), un museo e una missione: Stimolare e condividere la creativit in tutto il mondo.





Adrià è venuto in Italia per presentare con Lavazza il calendario 2014, che per la prima volta ritrae una galleria di grandi chef invece delle consuete modelle. E all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo (www.unisg.it), a Bra, nel Sud Piemonte, ospite dell’amico Carlo Petrini di Slow Food, ha trascorso un’intera giornata con gli studenti che da tutto il mondo vengono a studiare nel castello dei Savoia trasformato in ateneo. E ha conquistato i ragazzi raccontando la vita di un «chico de barrio» che non amava la cucina, poi diventato star globale.

«Mio fratello Albert e il mio socio Juli Soler – dice Adrià -, mi diedero del matto quando spiegai l’intenzione di chiudere el Bulli. Il nostro locale era stato classificato come il miglior ristorante del mondo dal 2002 al 2009».

Qui, in Cala Montjoi, splendida baia in Costa Brava a pochi chilometri dalla Francia, nel 2016 aprirà la Fondazione el Bulli. Quando era un ristorante con 3 stelle Michelin (fin dal 1999) vi sono passati 2000 stagisti, alcuni dei quali sono ora i cuochi più influenti del mondo, come René Redzepi del Noma di Copenaghen, lo spagnolo Andoni Luis Aduriz, il brasiliano Alex Atala, gli italiani Massimo Bottura e Moreno Cedroni. Racconta il cuoco catalano: « A un certo punto non se ne poteva più di sentir nominare Ferran Adrià sui giornali e in tv, dai media: anche mia madre mi prendeva in giro. Avevo un milione di richieste per gli 8 mila commensali che avrei potuto servire a el Bulli. Era uno stress continuo, così ho deciso di prendermi tre anni per riflettere e codificare quel lavoro». Con il fratello Albert e altri soci ha aperto alcuni locali informali a Barcellona, come il Tickets (con 50 euro si possono gustare piatti creativi e si prenota soltanto su Internet al sito www.es.bcn50.org), Bodega 1900 (di tradizione catalana), Pakta (piatti peruviano-giapponesi), 41° Experience (cocktal bar). Il loro slogan è «la vida tapa»: in spagnolo le «tapas» sono i piattini di cucina informale.

Parliamo con Adrià del futuro della gastronomia. Per lui è nella «informalità» e nella «semplicità». Prima erano caratteristiche soltanto delle osterie e della tradizione popolare: ora ha conquistato l’alta cucina, che «non è mai stata così democratica». Che ne pensa degli chef-star in tv? «E’ la scelta individuale di ciascun cuoco – risponde – molti di loro sono ottimi “cocineros”, come Jamie Oliver o il vostro Carlo Cracco di Masterchef. Io credo che sia un modo per avvicinare molta più gente alle elaborazioni di avanguardia». Quale futuro per i ragazzi che oggi sognano di diventare chef? «Credo che i cuochi più felici siano quelli che lavorano nei piccoli ristoranti e non hanno lo stress delle stelle Michelin: ai giovani dico che conta di più la felicità che essere un Bottura o un Adrià».
Ultimo aggiornamento: Mercoledì 30 Ottobre 2013, 09:12
© RIPRODUZIONE RISERVATA