Il dolore di Gino Cecchettin
«Una volta sono andato al cimitero, era ormai giugno, e pensavo di avere elaborato il dolore e il lutto, e guidavo ascoltando uno dei brani dei Kasabian che la mamma amava, perché volevo mettermi in una specie di sintonia d’onda con lei. Mi sentivo estremamente rilassato. Mi ripetevo: "Vedi che hai superato anche il lutto? E adesso ti restano le cose belle di lei". Ma quando mi sono trovato davanti alla tomba, improvvisamente ho capito che non l’avrei mai più rivista. Era evidente che ci avevo sempre pensato, ma quella volta l’avevo "sentito" con un’ineluttabilità senza scampo. "Io non ti vedrò mai più" continuavo a ripetermi, "non ti vedrò mai più, né mai più sentirò le tue battute, né sentirò mai più la tua mano carezzarmi la testa mentre mangiamo [...]». Quel sabato pomeriggio, davanti alla tomba della mamma, a un certo punto non ho più resistito e ho iniziato a piangere. Non riuscivo a smettere. [...]
Non avevo mai pianto così in vita mia, nemmeno da bambino. Ho buttato fuori tutto quello che avevo dentro. Tutto quanto, come se mi stessi svuotando per sempre di qualcosa. Lì, in un parcheggio semideserto, davanti alla fila immobile dei cipressi. Quella volta le lacrime le ho lasciate scendere senza asciugarle. Mi sembrava un tradimento usare il fazzoletto, come se avessi cancellato il mio dolore per lei. Ho aspettato che si asciugassero da sole, me le volevo godere tutte fino alla fine. C’era la mamma in quelle lacrime».
Dopo la laurea alla memoria in ingegneria biomedica ottenuta da sua figlia, Giulia Cecchettin, questa domenica a #CTCF sul Nove riavremo Gino Cecchettin con il libro “Cara Giulia. Quello che ho imparato da mia figlia”, per affrontare il tema delle vittime di violenza di genere. pic.twitter.com/dufOSzJONP
— Che Tempo Che Fa (@chetempochefa) March 1, 2024