Alfano, guerra nella scorta del ministro:
i due bodyguard finiscono in tribunale
di Davide Manlio Ruffolo
Tutto ha avuto inizio nel 2012 quando la vittima, che dal 2008 prestava servizio di caposcorta di Alfano, aveva trovato numerose scritte sui muri di cinta della propria abitazione. Le frasi, come raccontato in aula dallo stesso agente, erano impresse a caratteri cubitali e con una vernice nera. Queste, sempre secondo il racconto della vittima, avevano un tono minaccioso e sarebbero scaturite da invidie lavorative. In poco tempo le pareti di casa, erano diventati il blocco note del suo persecutore.
Ogni volta che l'uomo trovava una frase sul muro, racconta la vittima al giudice, «provvedevo a farla rimuovere a mie spese sia per motivi personali che perché deturpavano un muro di recinzione di altri ignari condomini».
Si andava dal “pagherai tutto, merda” fino a scritte ben più preoccupanti. Fra queste, due in particolare avevano fatto drizzare i peli della schiena della vittima. La prima in cui si poteva leggere “infame visiteremo...” accompagnato dal nome della figlia, scritto a grandi lettere, e la seconda in cui si faceva una chiara allusione al fatto che la bambina, di appena 10 anni, e la moglie del caposcorta, erano in pericolo.
Un incubo che lo aveva costretto ad ingaggiare «un vigilante che, la notte, nei giorni in cui non ero a casa» vegliasse sulla sicurezza dell'abitazione e della sua famiglia.
Non c'erano, però, le sole scritte sui muri a turbare la quiete dell'agente. Il telefono di casa, infatti, squillava senza sosta ad ogni ora del giorno e della notte. Inoltre, nella casella postale del caposcorta, era arrivata una foto di una sedia a rotelle accompagnata da un'inquietante lettera in cui si poteva leggere: “Gentile dottore, come da sua richiesta le invio le promozioni dell'articolo in foto (una sedia a rotelle, ndr) per le sue esigenze future”.
Ultimo aggiornamento: Mercoledì 24 Febbraio 2016, 10:44
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