Omicidio Ilaria Alpi, il superteste ritratta.
L'Italia: "Inaffidabile, Hassan è innocente"

Omicidio Ilaria Alpi, il superteste ritratta. L'Italia: "Inaffidabile, Hassan è innocente"
 Nuovo squarcio nella coltre di depistaggi che ha costellato la ricerca della verità sulla morte della giornalista del Tg3 Ilaria Alpi e dell'operatore Miran Hrovatin. Le novità, in parte preannunciate ma in attesa di conferme ufficiali, arrivano dalla Gran Bretagna. È qui, infatti, che gli inquirenti italiani hanno sentito 'Jelle', il presunto supertestimone nell'inchiesta sul duplice omicidio, e l'uomo avrebbe confermato quanto detto alla trasmissione 'Chi l'ha visto', di Federica Sciarelli, andata in onda il 18 febbraio del 2015, e cioè che lui non c'era quando sono stati uccisi i due italiani a Mogadiscio, il 20 marzo del 1994.

È sempre 'Chi l'ha visto' che rende nota l'avvenuta rogatoria nella quale Ahmed Ali Rage, detto 'Jelle', avrebbe confermato che la sua testimonianza «era stata pilotata». A quanto si è appreso, la rogatoria internazionale - preannunciata per la fine di marzo - ha avuto luogo a Birmingham, in Gran Bretagna, e l'ha condotta il pm romano Elisabetta Ceniccola. Bocche cucite sul suo contenuto. Dalla Procura romana di Piazzale Clodio filtra solo che si è trattato di «una deposizione molto complessa che richiede ulteriori indagini». In seguito alla ritrattazione di 'Jelle', è in corso a Perugia il processo per la revisione della condanna a 26 anni di reclusione a carico di Hasni Omar Hassan, unico imputato per la morte di Ilaria e Miran. La famiglia Alpi non ha mai creduto alla sua colpevolezza. 'Jelle' rese le sue dichiarazioni accusatorie alla Digos nel 1997 e svanì nel nulla nel 1998, prima di comparire in aula nel processo di primo grado conclusosi con la condanna di Hassan, anche lui somalo.

Rintracciato lo scorso anno a Londra dal programma «Chi l'ha visto», 'Jellè ha dichiarato di essere stato pagato per sostenere che Hassan faceva parte del commando che uccise i due italiani. Il pm Elisabetta Ceniccola, titolare dell'inchiesta sul duplice omicidio, dopo aver accertato che il somalo rintracciato dal programma di Rai3 era proprio 'Jellè, ha chiesto ed ottenuto dalle autorità britanniche di poterlo interrogare sui fatti di Mogadiscio e, soprattutto, sulla ritrattazione delle sue accuse. Proprio quest'ultimo colpo di scena ha determinato il processo di revisione per Hassan. L' uomo, che oggi ha 42 anni, ha scontato in carcere 16 anni, e ha ottenuto lo scorso giugno la liberazione anticipata di 4 anni per buona condotta, con la destinazione ai servizi sociali.

Ilaria e Miran furono uccisi da un commando a Mogadiscio, 22 anni fa, mentre erano a bordo di un pick-up Toyota che attraversava la capitale somala, dopo essere tornati, da poco, da un incontro fuori Mogadiscio con il sultano del Bosaso. Una Land Rover tagliò loro la strada, ne discesero almeno 7 persone armate che fecero fuoco uccidendo senza lasciare scampo ai due giornalisti. Dopo una lunga serie di indagini e di processi, con anche il coinvolgimento di una Commissione parlamentare, Hassan fu condannato dalla Cassazione in via definitiva. Adesso lavora nel padovano in una cooperativa alla quale i servizi sociali lo hanno affidato per tre anni. Ha sempre detto di essere innocente e di aver passato in carcere metà della sua giovane vita.

PER L'EX AMBASCIATORE L'AUTISTA INAFFIDABILE Nuove ombre sul processo che condannò Omar Hassan Hashi per l'omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, avvenuto il 20 marzo 1994 a Mogadiscio. Il testimone autista della troupe che riconobbe Hashi era «una persona non affidabile e che farebbe qualsiasi cosa per sopravvivere», secondo il diplomatico italiano che svolse gli accertamenti in Somalia. Le nuove rivelazioni arrivano dalla testimonianza alla Commissione parlamentare d'inchiesta resa in seduta segreta nell'ottobre 2004 dall'ex ambasciatore Giuseppe Cassini, desegretata nei giorni scorsi e pubblicata oggi da Repubblica: «io non darei un soldo bucato alle testimonianze di Abdi, perché è un bantu. La testimonianza di uno come lui è labile», affermava Cassini. Altri squarci nella coltre di depistaggi che ha costellato la ricerca della verità sulla morte della giornalista del Tg3 e del suo operatore si erano aperti già pochi giorni fa, quando il presunto supertestimone Ahmed Ali Rage detto 'Jelle' avrebbe confermato che la sua testimonianza «venne pilotata». 
Ultimo aggiornamento: Lunedì 4 Aprile 2016, 09:13
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