Interviene per una emergenza
quando arriva trova il figlio morto

Risponde a una emergenza, paramedico arriva e trova il figlio morto

di Federica Macagnone
RYE - Un dolore che si porterà dentro per tutta la vita. Sono passati quattro anni dalla morte del piccolo Sam, ma Pete Keach, 36 anni, da Rye, in Australia, non può dimenticare come la sua vita sia cambiata in un attimo: era in servizio come paramedico a un'ora da casa quando ha sentito quella chiamata.
Un'emergenza che veniva esattamente dall'area in cui abitava con sua moglie Georgie, 37 anni, e il piccolo Sam. Nessun dettaglio in particolare, solo quell'indirizzo che continuava a rimbombargli nella testa. Poi la corsa e il dramma di scoprire che non avrebbe comunque potuto far nulla per salvare suo figlio. Era il giugno del 2012. Sono passati quattro anni, ma solo adesso Pete è pronto a parlare della perdita, a condividere il suo dolore, aiutare la ricerca e sostenere le famiglie che si sono ritrovate a perdere un figlio per la sindrome della morte in culla, o “Sudden infant death syndrome” (Sids), che colpisce i bambini tra un mese e un anno di età.
 


«Ricordo ogni secondo di quella giornata – ha raccontato Pete al Daily Mail Australia – Ero in ambulanza con un paziente quando è arrivata una chiamata alla radio. Si trattava di un'emergenza nella mia zona, così ho tentato di chiamare Georgie, ma non rispondeva: era impegnata a parlare con gli operatori del servizio d'emergenza. Aveva trovato il nostro Sam che non respirava, inerte nella sua culla. Ho chiamato in centrale e mi hanno confermato che si trattava del mio indirizzo. Mi sono messo d'accordo con un collega per montare su un'altra ambulanza, consegnare il mio paziente e sono tornato a casa. Alle 22 la mia strada era illuminata dalla luce di tre ambulanze. Ho raggiunto Georgie, era in camera di Sam: era morto, ci aveva lasciati. Io e mia moglie ci siamo seduti uno a fianco all'altro e lo abbiamo coccolato».

Da quel momento, la coppia ha cercato di andare avanti, ha avuto due bimbe e ha studiato i fattori di rischio della Sids e i possibili accorgimenti da adottare per diminuirne le probabilità. Tuttavia a Pete e Georgie non basta: hanno iniziato una raccolta fondi che aveva come obiettivo mille euro per la ricerca e che, finora, ne ha fruttati 19mila per un'organizzazione che lavora per salvare la vita dei bimbi e dar sostegno alle loro famiglie.
«Superare la morte di mio figlio è impossibile – ha concluso Pete – Immaginavo di vederlo crescere, di condividere gli stessi hobby, di vederlo andare a scuola quest'anno. Quello che ci resta da fare è dare una mano agli altri».

 

 
Ultimo aggiornamento: Lunedì 4 Aprile 2016, 09:56
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