«Né Silvio Berlusconi, né altri componenti del suo governo hanno mai denunciato, prima o dopo, le minacce mafiose», ha spiegato Di Matteo. «Nel nostro sistema costituzionale - ha poi affermato il pm antimafia - le sentenze vengono pronunciate "nel nome del popolo italiano", possono essere criticate, condivise o impugnate ma quando riguardano uomini che esercitano il potere devono essere soprattutto conosciute. C'è una sentenza definitiva di cui pochi hanno parlato e spiegato, quella che ha condannato Marcello dell'Utri per concorso esterno ad associazione mafiosa che afferma che dal '74 al '92 si fece prima garante e poi intermediario di un patto tra l'allora imprenditore Silvio Berlusconi e i capi delle famiglie mafiose palermitane. Ora c'è un'altra sentenza, di primo grado ancora, che dice che quell'intermediazione non si ferma al '92 ma riguarda anche il periodo successivo del primo governo Berlusconi. Questi sono fatti, che a mio parere, devono essere conosciuti e non sempre sono stati adeguatamente sottolineati. La sentenza è precisa e ritiene che Dell'Utri abbia fatto da cinghia di trasmissione nella minaccia mafiosa al governo anche nel periodo successivo all'avvento alla Presidenza del Consiglio di Berlusconi».
«Non riteniamo che quei carabinieri abbiano agito da soli - ha continuato Di Matteo - riteniamo che siano stati in qualche modo mandati, incoraggiati a fare questa Trattativa.
Ho sempre sperato potessero dare un contributo ulteriore di conoscenza. Il fatto che siano stati condannati solo i carabinieri non significa che il livello politico non fosse a conoscenza o addirittura che fosse il mandante dell'azione dei carabinieri. Non abbiamo finora acquisito prove concrete di soggetti determinati, ecco ci vorrebbe un "pentito di Stato", ci vorrebbe qualcuno che appartenga alle istituzioni che faccia definitivamente chiarezza e che disegni in maniera ancora più completa il quadro di quello che avvenne».
Ultimo aggiornamento: Domenica 22 Aprile 2018, 17:02
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