Coronavirus, la sorella di Kim Rossi Stuart preoccupata per il figlio in carcere: «Non so se sta bene»

Coronavirus, la sorella di Kim Rossi Stuart preoccupata per il figlio in carcere: «Non so se sta bene»
È preoccupata per suo figlio Loretta Rossi Stuart. Non ha sue notizie da 12 giorni e l'ultima volta per il coronavirus era stata costretta a vederlo via Skype. «Da quando è entrato in vigore lo stop ai colloqui ho potuto vedere mio figlio, che è ristretto a Rebibbia, una sola volta su Skype. Ora sono dodici giorni che non so se sta bene o no. Questa situazione non è accettabile, è disumana'», è l’appello lanciato attraverso Adnkronos.

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La sorella dell'attore Kim ha un figlio, Giacomo Seydou Sy, affetto da disturbo bipolare borderline e «a causa della droga - spiega la madre - in alcune situazioni perde totalmente il controllo. Ma non ha mai fatto male a nessuno se non a se stesso». Non dovrebbe essere in carcere ma in una Rems, struttura sanitaria d’accoglienza istituita nel 2015 che ha sostituito l’ospedale psichiatrico giudiziario. Si trova a Rebibbia per mancanza di posti letto.

«Il Governo si deve rendere conto - continua Loretta Rossi Stuart - che è bene sospendere i colloqui per proteggere dal contagio ma non puoi isolare queste persone già fragili. Siamo tutti in situazioni difficili ma persone ristrette in sei in celle di pochi metri, in questo momento vanno fuori di testa. Non si può interrompere l’apporto degli operatori che vanno li a sostenerli psicologicamente. I volontari, con le dovute precauzioni, debbono continuare a poter andare. Ma quello che voglio sapere ora è perché mio figlio non mi telefona».

Detenzione 'illegale' - Una detenzione ‘’illegale’’ quella di Giacomo, secondo la madre e il legale che lo assiste, su cui è stato presentato un ricorso, unitamente a una richiesta di misure urgenti per l’immediata liberazione, alla Corte europea dei diritti dell’uomo dall’avvocato Valentina Cafaro, Andrea Saccucci e Giulia Borgna dello studio ‘Saccucci &partners’.

«L'intera detenzione di Giacomo è avvenuta nonostante la sua condizione psicopatologica lo rendesse pacificamente incompatibile con il regime carcerario - ha spiegato l'avvocato Cafaro - come, del resto, ritenuto dagli stessi psichiatri operanti all'interno del carcere. La Corte europea ci ha comunicato di aver preso in esame la nostra richiesta di misure cautelari ed ha aperto il contraddittorio con il Governo italiano, al quale ha richiesto spiegazioni precise e puntuali sull’intera vicenda».

«Entro fine mese - continua il legale - dovremmo, pertanto, ottenere una risposta in merito alla richiesta di misure urgenti. Sebbene al momento non sia opportuno sbilanciarsi sugli eventuali esiti delle azioni intraprese, ci auguriamo che il nostro intervento possa contribuire a porre fine all'intollerabile detenzione illegale che sta subendo Giacomo e, al contempo, che questo caso possa costituire il mezzo per incentivare lo Stato italiano ad adottare delle misure di carattere generale volte a superare le criticità del sistema di esecuzione delle misure di sicurezza e a garantire un’adeguata tutela dei pazienti psichiatrici inseriti nel circuito penitenziario».
Ultimo aggiornamento: Martedì 24 Marzo 2020, 21:17
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