L'ultimatum dei lavoratori di Sangemini e Amerino:
«Non siamo disposti a fare altri sacrifici».
di Aurora Provantini
Puntano il dito contro la Regione. «L’acqua è un bene pubblico, le concessioni per il suo utilizzo sono di proprietà della Regione dell’Umbria, per questo è tempo che Palazzo Donini esca dal silenzio». Sono snervati i lavoratori di Sangemini e Amerino, e preoccupati. Lanciano un ultimatum: «il tempo dei nostri sacrifici, dopo ben quattro anni di promesse non mantenute e di cassa integrazione ininterrotta, è finito».
Chiedono che la palla passi alla politica, «a chi riveste incarichi istituzionali, perché è intollerabile che una proprietà assente e indisponibile al confronto, possa tenere in pugno le sorti di una realtà industriale che da 120 anni è vanto di questo territorio, per di più lucrando su un bene pubblico, come l’acqua».
«In mancanza di una chiara svolta la mobilitazione che abbiamo ripreso, con il presidio in prefettura a Terni e con la manifestazione a Sangemini è destinata a proseguire e a diventare sempre più forte - avvertono sindacati e Rsu - perché non intendiamo più stare a guardare una proprietà che nella totale chiusura prosegue verso un processo di indebolimento delle nostre aziende. Se il Gruppo Pessina non intende rilanciare Sangemini e Amerino, allora si faccia da parte».
Walter Verini (deputato Pd), interviene: «è un momento delicato che richiede la massima unità» . «I lavoratori, i sindacati, i Comuni, i parlamentari, il Governo - afferma Verini - stanno facendo la loro parte per salvare il futuro di un marchio identitario della regione e il lavoro di novanta persone, contro una proprietà finora, irresponsabilmente, latitante. E’ necessario che anche la Regione dell’Umbria faccia incisivamente la propria parte».
Raffaele Nevi (Forza Italia), anche lui presente alla manifestazione di San Gemini, ricorda che «i lavoratori degli stabilimenti di Sangemini e Amerino sono pesantemente provati da una situazione di crisi che si protrae ormai da troppo tempo e che getta nella difficoltà economica intere famiglie del nostro territorio». «La speranza è che il gruppo Ami la smetta di giocare sulla pelle dei lavoratori - conclude Nevi - e avvii subito il piano di rilancio, oppure molli ad investitori seri e che hanno voglia di puntare su un marchio italiano che è ancora sinonimo di acque di qualità e salubrità».
Ultimo aggiornamento: Sabato 26 Settembre 2020, 17:59
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