Europee, da Renzi a Schlein e da Salvini a Conte: i leader di partito in corsa (e non) per le un posto in Ue

Ecco i leader che si preparano, alcuni (i più) personalmente, alla contesa del voto di giugno.

Da Renzi a Schlein e da Salvini a Conte: i leader di partito in corsa (e non) per le un posto in Ue

di Mario Ajello

Matteo Renzi decide sulle Europee entro la fine della settimana. Carlo Calenda probabilmente non ci sarà come capolista di Azione ma forse anche sì. Conte e Salvini non corrono.

Tutti gli altri, a cominciare da Elly Schlein,  sì. Eccoli i leader che si preparano, alcuni (i più) personalmente, alla contesa del voto di giugno.

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I leader di partito in corsa (e non)

Antonio Tajani è stato il primo a scendere in campo. Con un proposito molto chiaro: allargare. Allargare quanto più il consenso per Forza Italia. Per toccare il 10 per cento e magari superalo. «Perché noi — parola del leader azzurro e ministro degli Esteri - stiamo costruendo il centro della politica italiana, non solo del centrodestra. Siamo l’equipaggio capace di portare la nave fuori dalla tempesta». Lo schema è quello del derby con la Lega, prendere almeno un punto in più di Salvini, per pesare maggiormente nel governo. Ma Tajani questo non lo dice. Anzi, almeno a parole, nessuna battaglia dichiarata con il Carroccio per il secondo posto nell’alleanza. «Il momento della sopravvivenza è superato — è il grido di battaglia del leader di Fiorza Italia - e dobbiamo giocare da protagonisti: non siamo più in zona retrocessione, ci avviciniamo alla parte alta della classifica!».

 

LA POSIZIONE DI RENZI
E Renzi? Non è affatto convinto di voler gareggiare, in questa contesa giocata insieme ai radicali di Emma Bonino e Magi. Lei, Emma, la leader di Più Europa, corre da capolista nel Nord ovest per gli Stati Uniti d’Europa (che al Centro Italia hanno un candidato forte in Gian Domenico Caiazza, presidente dell’Unione delle Camere Penali). Renzi non può fallire il superamento del quorum e ha il bisogno di battere la concorrenza di Calenda e di diventare attrattivo, andando bene nel voto, per tutti quei riformisti del Pd che potrebbero uscire con le ossa rotte dal 9 giugno nel caso Schlein abbia un trionfo o almeno una buona vittoria a cui tende fortemente al punto da voler inserire, lo fece già Veltroni ma per le Politiche, il suo nome nel logo elettorale del Pd che porterebbe al partito secondo le ultime stime addirittura il 3 per cento dei consensi in più. 

IL PARTITO DEMOCRATICO
Andare sopra il 20 per cento e avvicinarsi al quasi 23 che ebbe cinque anni fa il Pd di Zingaretti: questo il sogno, non impossibile, di Elly. Ma la concorrenza a sinistra dei rosso-verdi con Ilaria Salis, Lucano, Marino, non viene sottovalutata al Nazareno. Dove c’è anche preoccupazione per la mossa di Conte, il quale non si candida personalmente ma ha inserito nel logo 5 stelle la parola «pace»: attrattiva per molto popolo di sinistra.

IL CENTRODESTRA 
Quanto alla Meloni, il 28 aprile, nella kermesse FdI a Pescara, annuncerà la sua candidatura da capolista ovunque per il suo partito.

Se Salvini nei mega poster che lo ritraggono (ma non da candidato) ha fatto scrivere «Più Italia, meno Europa», Giorgia ha attenuato nei cartelloni il messaggio del 2019 («In Europa per cambiare tutto») e fa dire invece al suo volto cartaceo affisso prima a Milano e poi in altre città: «L’Italia cambia l’Europa».

Un messaggio sempre vigoroso ma meno anti-europeista rispetto a quello di 5 anni fa. Meloni si fa forte di alcuni dati, come questo dell’istituto Piepoli: avrebbe il 41 per cento della fiducia personale da parte degli italiani. Ma «i voti si contano e non si prevedono»,  dicono a via della Scrofa, quartier generale FdI, ostentando prudenza. L’asticella di Giorgia è il 26 per cento delle Politiche: occorre andare oltre almeno di un punto ma sarebbe meglio di tre o quattro. E tre punti percentuali, secondo i sondaggisti vale la discesa in campo diretta di Meloni.

LA LEGA
Salvini punta tutto su Vannacci, ma il generale ancora non ha sciolto le sue riserve sulla candidatura, quasi tutti i Leghisti non lo vogliono e il suo nuovo libro con cui vorrebbe fare la campagna elettorale non sta andando affatto bene nelle vendite: appena 14 mila copie vendita che sono nulla in confronto alle 250mila della sua prima fatica letteraria. L’effetto Vannacci sta  già sfumando? 


Il cartello Libertà guidato da Cateno De Luca vedrà in campo il leader ma è leader di questa alleanza anche l’ex viceministra Laura Castelli e lei da capolista sarà in gara eccome. I rosso-verdi si affidano ai testimonial a volte molto forti: come Leoluca Orlando che guida la lista nelle Isole. Quanto a Calenda, domani saperemo se guiderà personalmente le sue liste. Che comunque sono piene di candidati di valore - docenti universitari, manager e altre professionalità provenienti dalla società civile e dal mondo del lavoro - che rappresentano il senso che Carlo intende dare a queste elezioni: la promozione di competenze vere per l’Europa e non di figurine o di raccomandati e neppure di leader che poi in Europa non ci vanno pur avendo chiesto i voti per andarci. Con Calenda ci saranno nomi importanti del tipo: l’ex assessore laziale alla Sanità, Alessio D’Amato; l’ex sindaco Pizzarotti; il generale Camporini; la pro-rettrice dell’università Statale di Milano,  Maria Pia Abbracchio. In queste ultime ore la new entry, molto significativa, per Calenda è la giornalista ucraina con doppia cittadinanza  Nataliya Kudryk. Gareggia nella circoscrizione Italia centrale. 


 Giuseppe Conte per i 5 stelle non si presenta ma per lui giocano l’ex calciatrice Carolina Morace, Pasquale Tridico al Sud (è l’ex presidente dell’Inps), Giuseppe Antoci (esponente anti-mafia) nelle Isole e via così. 
Ogni leader ha la sua tattica di gioco. E ogni partito combatte una battaglia esterna - centrodestra contro centrosinistra e viceversa - e una battaglia nel proprio stesso campo: Pd e 5 stelle a chi strappa un voto in più all’altro e stessa storia per Forza Italia e Lega e per i centristi di Renzi contro quelli di Calenda e viceversa. FdI sembra fare un campionato a sé, è prima e resterà prima e non vede rivali in agguato. Ma se Meloni vince troppo, a pagarne le spese potrebbe essere anzitutto la Lega e a lei, o meglio alla stabilità del suo governo,  forse non converrebbe del tutto fare il pienone.


Ultimo aggiornamento: Lunedì 22 Aprile 2024, 15:48
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