Shoah, a processo Oskar Groening, il contabile
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Shoah, a processo Oskar Groening, il contabile di Auschwitz 92enne: "Vi chiedo perdono"
BERLINO - Erano «nemici» del popolo tedesco, e in quanto tali le SS ritenevano «ragionevole» eliminarli. Oskar Groening oggi ha 94 anni, spinge un girello, e davanti al suo giudice pronuncia frasi talvolta incomprensibili mentre sorseggia dell'acqua, come faceva con la vodka ad Auschwitz.



L'uomo dai capelli bianchi che ha fatto ingresso nell'aula giudiziaria di Lueneburg, per uno degli ultimi processi sui responsabili della Shoah, in Germania, ha ammesso le sue responsabilità morali, e poi ha detto: «Chiedo perdono». «Non vi è dubbio che io sia stato corresponsabile sul piano morale - ha affermato rivolgendosi al magistrato -. Questo lo riconosco con pentimento e umiltà. Sulle responsabilità penali, la decisione tocca a lei».







Un ravvedimento in cui c'è chi come Spiegel vede una buona strategia difensiva indicata dall'avvocato. Sessantacinque sopravvissuti di Auschwitz hanno sporto denuncia contro il contabile del lager, assurto a simbolo dell'Olocausto dopo la Seconda guerra mondiale: l'uomo che consegnava fra l'altro oggetti preziosi e soldi lasciati nelle valigie alle SS, «agli ebrei non servivano più». E Groening risponde dell'accusa di aver dato sostegno allo sterminio di 300 mila ebrei ungheresi. «Noi abbiamo ritenuto ragionevole che i nemici del popolo tedesco venissero annientati», ha candidamente spiegato. A tratti, nella sua confessione, li ha chiamati «Haeftlinge», la parola tedesca per indicare i «detenuti» del campo, e ad un certo punto ha ammesso che non avessero commesso delitti: erano ebrei.



A tratti ha rammentato momenti di estrema crudeltà vissuti nel lager: come quando una madre ebrea aveva nascosto in valigia il suo neonato, «pensando che potesse sfuggire così alla selezione». «Un camerata» però «scaraventò il bambino contro un camion dell'immondizia fino al momento in cui tacque». «Questo mi fermò il cuore. Andai dall'uomo e gli dissi, così proprio non va». «Aggiunsi che io non ero autorizzato a questo. Il giorno dopo chiesi di essere trasferito, perchè pensai 'se continua così?'». La prassi insomma non gli sembrava «particolarmente felice», ha detto questo collaboratore dell'orrore che si consumava nel campo di concentramento che i tedeschi aprirono in Polonia.



E che proprio nel linguaggio usato, anche oggi, ha tradito la personale adesione a quello che accadeva ad Auschwitz. Groening ha raccontato di aver appreso subito, al suo ingresso nel campo nel 1942, che lì gli ebrei venissero gasati. Dovevano lavorare, «chi non poteva farlo veniva smaltito». E i forni crematori «erano i più adatti» a far sparire i cadaveri. È Spiegel a sottolineare, riportando diversi passaggi davvero impressionanti del racconto che l'ex SS ha fatto oggi, nella prima giornata del processo, che Groening non sembra aver preso davvero le distanze da quel che accadde ad Auschwitz, dove a suo dire c'era «quella bella porta in ferro battuto» all'ingresso con le parole «Arbeit macht frei».



Ha la bocca secca, riferisce il magazine, riferendo ancora questa agghiacciante testimonianza: «Adesso faccio come ad Auschwitz con la vodka», è la conclusione prendendo dell'acqua. Nella stessa aula, i sopravvissuti. «Cosa si vuole sentire da un SS di Auschwitz-Birkenau? - ha detto una donna - Dio era nessuno di fronte a lui! Se lui dice di non aver fatto nulla, di esserci soltanto stato, cosa dovrei dire io?». «Ho raccolto tutte le forze che avevo per essere qui oggi», ha affermato un'altra donna. I testimoni sono arrivati dal Canada, dagli Usa, dall'Ungheria e da Israele, per incastrare il «contabile».



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Ha commesso crimini orribili: oggi ha 92 anni e comincia il processo http://goo.gl/euvW9FSegui Leggo - Il sito ufficiale

Posted by Leggo - Il sito ufficiale on Mercoledì 22 aprile 2015

Ultimo aggiornamento: Mercoledì 22 Aprile 2015, 15:37
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