"Nessuna chiusura, l'Europa può difendersi solo con il coordinamento delle indagini". L'analisi dell'esperto

"Nessuna chiusura, l'Europa può difendersi solo con il coordinamento delle indagini". L'analisi dell'esperto

di Valeria Arnaldi
ROMA - Guerra. È questa la parola più frequente nei dibattiti ma anche sui social, dopo gli attentati di Parigi. L’ha usata il Papa, la usano molti politici, la usa la gente comune. Michele Taufer, analista del Ce.S.I.-Centro Studi Internazionali, in questa guerra l’Europa come può difendersi?



Anzitutto, come prima reazione, già ieri sera, il presidente francese Hollande ha sigillato la Francia e i confini per permettere alle forze dell’ordine di portare avanti le proprie indagini sul network alla base degli attacchi. La prima reazione, dunque, è quella di chiudersi. Lo ha fatto la Francia, lo faranno tutti gli Stati a livello europeo ma anche mondiale. Tutti hanno intensificato i controlli e aumentato l’attenzione che già era alta.



Questa la reazione immediata, ma sul medio periodo?

"Vi sarà probabilmente maggiore collaborazione e condivisione delle informazioni tra i servizi di intelligence e sicurezza al fine di comporre meglio il puzzle alle spalle di questi gruppi e organizzazioni. Operare a un determinato livello, come è accaduto a Parigi, dimostra un salto di qualità. Pertanto, si renderà sempre più necessario collaborare in modo intensivo. Alcuni dei terroristi erano già noti alle forze dell’ordine. Controllare un singolo e continuare a farlo presuppone un enorme dispendio di energie e risorse. Maggiore collaborazione fornirebbe una sorta di moltiplicatore, aiutando a controllare i movimenti di questi individui, che avvengono quasi sempre tramite il web".



Il web è la prima arma del terrorismo ormai da tempo: perché non riusciamo a contrastare le ramificazioni “virtuali” dell’Isis?

"Le forze dell’ordine oscurano frequentemente siti che però vengono continuamente ricreati da parte degli stessi individui. Controllare tutto è virtualmente quasi impossibile. È questo il vero problema, perché i nostri Stati prevedono libertà a privacy che devono essere mantenuti in quanto principi della nostra società. La difficoltà sarà equilibrare le necessità di indagine, anche a livello europeo, con il livello di libertà dei nostri Paesi".



I nostri monitoraggi corrono su web, telefonini e simili: basta un “pizzino” per diventare invisibili?

"È uno dei metodi, ma per l’azione. Il web serve per riuscire ad agganciare quelli che potrebbero essere i futuri terroristi. La rete offre al terrorismo un’opportunità mai avuta prima nella storia di veicolare il proprio messaggio in modo ampio e anche di avere una vetrina per le proprie azioni. Da un punto di vista tattico-operativo, il pizzino è una soluzione effettivamente non intercettabile".



Fino a qualche anno fa, l’Occidente dava nomi precisi ai suoi nemici, Al Qaeda ci ha insegnato a combattere con nemici invisibili, l’Isis ci dimostra che il nemico può essere pure il vicino di casa: tutti possono essere bersagli ma anche terroristi?

"Il nemico oggi è ancora più subdolo, perché può essere chiunque, anche un persona che ha sempre vissuto nella comunità. È questa è anche l’immagine che ne viene virtualmente proposta".



Il primo campo di battaglia è il web: dunque, l’Isis è molto più bravo di noi a usarne strumenti e potenzialità?

"L’Isis è abilissimo nel massimizzare qualsiasi risultato sia in grado di ottenere, creando l’immagine di una realtà vincente e di successo, come dimostrano i video delle esecuzioni, immagini orrende, che però trasmettono la forza dell’organizzazione. Ed è attraverso di esse che l’Isis riesce ad attirare giovani che magari vivono ai margini delle nostre società".



l’Isis mostra che tutti possono fare parte di quell’immagine vincente: è nel benessere che promette il suo punto di forza?

"Sì, è un effetto propaganda immediato, molto raffinato, che lo Stato Islamico è riuscito a coltivare. È sempre più impellente contrastare l’immagine di vittoria e di successo, che è fornita dall’Is".



In questa battaglia, anche culturale, l’Islam moderato ha fallito?

"Non direi che abbia fallito. Gli individui che compiono gli attentati sono un’estrema minoranza e sono anche contro l’Islam, contro i suoi principi. Bisogna dare più voce alle realtà moderate, affinché portino avanti il loro messaggio di concerto con tutta la comunità internazionale"



Torniamo alle strategie europee e ai temi dei quali si dibatte in queste ore: frontiere aperte o chiuse?

"L’Europa aumenterà i controlli ma non si può chiudere a riccio, andrebbe contro i suoi principi fondanti e quelli dei singoli Paesi. La chiusura dei confini è una misura straordinaria, che si può adottare come è stato fatto in Francia per avere il massimo controllo in una situazione particolare, ma non è una soluzione per il futuro. L’unica rimane la prevenzione. Bisogna aumentare i controlli dell’intelligence e il contrasto alle organizzazioni pure sul web".



È nato l’hashtag per dire “stop” al Giubileo, eppure gli attentati di ieri ci hanno dimostrato che i terroristi colpiscono ovunque: ragionando in via ipotetica, rimandare il Giubileo sarebbe un successo dell’Isis?

"Charlie Hebdo era un simbolo, l’attentato di ieri ha dato prova che l’obiettivo erano popolazione e città. Il rischio non può essere eliminato, c’è sempre, il Giubileo potrebbe attirare maggiore luce su Roma, ma le forze dell’ordine stanno potenziando i controlli. Ogni volta che lo Stato Islamico riesce a modificare lo stile di vita e la normalità del proprio obiettivo raggiunge un traguardo. La stessa reazione francese di dare maggiori poteri alle forze ordine per le perquisizioni, anche se comprensibile, può essere vista come una limitazione della nostra libertà, dunque specularmente come un traguardo per loro".
Ultimo aggiornamento: Sabato 14 Novembre 2015, 17:07
© RIPRODUZIONE RISERVATA