Iannotta e Altomare, la tangente-truffa: tra Gomorra e Totò
di Vittorio Buongiorno
Una gigantesca truffa ai danni degli indagati. Sembra di assistere a una puntata di Gomorra, la quarta serie, quando Genny va a Londra con un carico di lingotti d'oro per acquistare la società che gli consentirà di costruire l'aeroporto. A Iannotta and company accade qualcosa di simile. Tutto si svolge a Roma. E' P.T. ad agganciare Altomare, proporre l'affare e metterli in contatto con un presunto funzionario della Regione, che ha a sua volta presentato a Iannotta un tal Stefano Ricci, indicandolo come mediatore. «La somma sarebbe stata custodita - ricostruiscono gli inquirenti - presso un soggetto terzo individuato da Iannotta sino al primo stanziamento di fondi pubblici».
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L'appuntamento è nello studio romano di un notaio (tra l'altro molto conosciuto anche a Latina). Il milione arriva con una scorta armata (De Gregoris, titolare di porto d'arma per difesa personale, e due buttafuori latinensi chiamati da Altomare). Dal notaio entrano Iannotta e il sedicente Stefano Ricci. Colpo di scena, quest'ultimo si rifiuta di contare lì i soldi. E qui più che Gomorra sembra di vedere un film di Totò: spunta un tizio, F.Z., funzionario della Corte dei conti e amico di P.T. che «mette a disposizione un ufficio nella Corte dei Conti» spiega il gip, in cambio di una quota del 5% della tangente.
Iannotta e Ricci entrano alla Corte dei Conti «attraverso una porta carraia sul retro». Il misterioso signor Ricci conta il denaro, lo infila in una busta e lo mette in una borsa, fa per uscire dalla stanza «per farlo visionare ad altri soggetti al piano inferiore». Poi però riceve una telefonata e desiste, «non è opportuno spostarsi ora», spiega. Ritira fuori la busta dalla borsa, restituisce i soldi a Iannotta e rimanda la consegna.
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La sera i napoletani scoprono che i soldi restituiti sono falsi. Fuori di sé convocano Iannotta e Altomare. L'imprenditore è disperato. Secondo il gip in questa vicenda «appare evidente il ruolo centrale assunto da Nathan Altomare, evidentemente regista dell'operazione, e quindi ritenuto garante responsabile e interfaccia dei mediatori che si rivelavano dei truffatori, ciò che metteva in seria difficoltà la credibilità del collaboratore di Iannotta».
Tutti sospettano di tutti. Iannotta e Altomare organizzano il sequestro di P.T (che ha proposto l'affare) e di F.Z. (che ha messo a disposizione l'ufficio). I due vengono «sottoposti a un pesante interrogatorio con minaccia armata» all'interno «di un capannone della Akros Holding a Sonnino, in via Argine Amaseno». Iannotta fa il duro: «Scegli il figlio che mi devo prendere fino a che non mi porti Ricci». Poi al telefono racconta: «Gli ho fatto di tutto, li ho massacrati di botte. Il ferro qua e qua, in bocca, ma niente, loro non hanno parlato». E' per questo che chiede aiuto ai due carabinieri arrestati nell'operazione per scoprire chi siano il presunto Stefano Ricci e il misterioso funzionario regionale destinatario della tangente. Anche questo serve a nulla, solo a far finire nei guai il colonnello dell'Arma Alessandro Sessa e il carabiniere Michele Carfora Lettieri.
Vittorio Buongiorno
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Ultimo aggiornamento: Venerdì 18 Settembre 2020, 15:41
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