Valeria Fioravanti morta per una meningite (scambiata per mal di testa), la mamma: «Mia figlia soffriva, ma i medici dicevano che esagerava»

La malattia è stata scambiata per un mal di testa e curata con gli anti dolorifici

Valeria morta per una meningite (scambiata per mal di testa), la mamma: «Mia figlia soffriva, ma i medici dicevano che esagerava»

di Redazione web

La perizia del medico legale ha confermato quello che i genitori di Valeria Fioravanti, mamma 27enne morta lo scorso gennaio, hanno sempre pensato e denunciato. Non era mal di testa o mal di schiena, come avevano detto i medici che l'hanno visitata, ma meningite. Quell'errore potrebbe esserle stato fatale e i dottori ora rischiano l'accusa di omicidio colposo. 

«Nonna, dov'è la mamma?», è la domanda che la figlia di Valeria, di appena due anni, pone tutti i giorni. «Ma io cosa posso dirle? Valeria non c’è più - dice con le lacrime agli occhi la mamma - Lei soffre perché non la vede e non sa bene cosa sia successo. Io invece lo so e per me il dolore è devastante. Ogni volta che mi fa quella domanda faccio fatica a non scoppiare in lacrime». La madre racconta a La Repubblica: «Mia figlia soffriva, ma i medici dicevano che esagerava». 

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Cosa era successo

Valeria ha vissuto un vero e proprio calvario: 7 visite in 4 ospedali. La ragazza è morta il 10 gennaio per una doppia colpa medica, la prima si è consumata al policlinico Casilino: una cefalea causata da un movimento «incongruo» compiuto mentre si lavava i capelli. Il secondo errore, a sette giorni di distanza, al San Giovanni Addolorata: una lombosciatalgia.

La consulenza medico legale è arrivata a una conclusione netta, la malattia che uccise la ragazza non venne riconosciuta, non si eseguirono gli esami specifici per tempo nonostante il quadro clinico suggerisse di verificare se la paziente fosse affetta da meningite. Adesso i tre sanitari che intervennero sulla 27enne rischiano di subire un processo con l’accusa di omicidio colposo da parte del magistrato che indaga sul caso, il pm Eleonora Fini.

Come recita il reato i medici furono «superficiali» nel trattare la paziente. La mancata diagnosi e la somministrazione di un antinfiammatorio, che anestetizzava la ragazza dal dolore e non la guariva dalla meningite, l’ha di fatto condannata a morte.

Il calvario

La ragazza, accompagnata dai suoi familiari, bussò alla porta di quattro ospedali. Il 25 dicembre 2022 la ventisettenne è sul lettino al policlinico Campus Biomedico: da una settimana ha un foruncolo infiammato, forse per un pelo incarnito, sotto l’ascella destra.

Un chirurgo lo rimuove, due punti poi viene mandata a casa.

Valeria, dopo pochi giorni sta male, è il 29 dicembre: «intensa cefalea, non risponde a tachipirina, vertigini da due giorni associate a cervicalgia», annota il medico del Casilino che la visita. La paziente esce poco dopo dall’ospedale, apparentemente sta meglio, il mal di testa sarebbe causato da un movimento brusco di qualche giorno prima eseguito mentre si lavava i capelli.

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Il dottore le inietta 30 milligrammi di Toradol e le prescrive una terapia sempre a base dello stesso antinfiammatorio per 10 giorni con l’indicazione di fare una visita presso un centro che tratta cefalee. Il 30 dicembre è di nuovo al Policlinico, chi la visita le fornisce indicazioni più precise su come trattare la ferita sotto l’ascella. Valeria sta sempre peggio, passa a casa il Capodanno.

Il 4 gennaio decide di andare in un altro pronto soccorso, quello del San Giovanni Addolorata. La ragazza spiega di avere dolore in tutto il corpo e in particolare sulla nuca. I due dottori che la visitano optano per una tac lombo sacrale.  La diagnosi è netta: sospetta lombosciatalgia. La ragazza viene dimessa, i sanitari le somministrano altro toradol. Due giorni dopo la situazione precipita, Valeria in condizioni critiche si presenta di nuovo al San Giovanni. Chi la prende in cura dispone subito una tac celebrale, il responso è impietoso: meningite acuta in fase conclamata.

È una corsa contro il tempo dal pronto soccorso contattano lo Spallanzani per chiedere assistenza, la giovane viene ricoverata in terapia intensiva.

Il 7 gennaio in coma, intubata e sedata, viene portata all’unità di terapia intensiva di neo-chirurgia del Gemelli. Qui i medici cercano in tutti i modi di strapparla alla morte, non ci riescono. Valeria il 10 gennaio esala l’ultimo respiro. Adesso i genitori reclamano giustizia.


Ultimo aggiornamento: Martedì 5 Settembre 2023, 11:25
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