«Oggi è morta Roma, ciao Gigi». C’è chi scrive così sui social. E c’è chi lancia l’idea di fargli una statua equestre, da piazzare accanto a quella di Garibaldi sul Gianicolo anche se Proietti diceva: «Io un monumento? Ma non so manco anda’ a cavallo!». Era innamoratodi Roma. E Roma era innamorata di lui. L'ultima mandrakata di Gigi è andarsene così, di botto. Proprio mentre la sua città, in un momento difficile, ha particolarmente bisogno di figure come lui, presenti e rassicuranti.
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«Roma gli viveva dentro («Di questa meraviglia amo anche la muffa delle fontane quando sono a secco») e per Roma s'è speso, essendo privo dello scetticismo del Belli o del cinismo o di quella mortifera indifferenza che viene attribuita a volte non a torto ai romani, con generosità e passione civica. Ha fondato scuole di recitazione, s'è impegnato nel sociale e nella vita dei quartieri popolari («Nacqui dietro a via Giulia, e poi il Tufello mi ha dato tutto») senza mai far mancare la sua voce, ha aperto tre teatri: dal Brancaccio, dove prima c'erano solo le ragnatele, al Brancaccino e fino al Globe Theatre a Villa Borghese. E quanto Roma è stata forte, riconosciuta, invidiata quando Proietti faceva tandem con Carmelo Bene al Sistina, quando lui era il grande mattatore al Teatro Tenda di Piazza Mancini e Federico Fellini lo andava ad ammirare e lo chiamava Giggiaccio?
Lui che ha puntato su Roma e ha investito su Roma da questa città ha avuto tanto ma non tutto. Meritava di diventare il direttore del Teatro di Roma, l'Argentina, la massima istituzione nel suo campo, e ha sofferto per questa mancata consacrazione. Che si è rivelata più che altro un'occasione persa per la Capitale, la quale avrebbe avuto un grande personaggio colto e popolare - il più scespiriano dei nostri giullari, il più chansonnier dei nostri artisti, il più brechtian-petroliniano dei nostri mattatori - come simbolo e come richiamo. Ma niente. Pur essendo Proietti romano e di sinistra, a quel progressismo da terrazza radical-quirita, a quel mainstream progressista con la puzza al naso non piaceva veramente, era geloso del suo successo pop e si sentiva di fatto oltraggiato dalla capacità di Gigi di entrare in empatia con le masse. Non è stato amato da certa sinistra perché non coltivava l'aristocratico disprezzo per il pubblico incolto al quale il genio doveva imporre il proprio ego e la propria sapienza. Mentre Proietti era uno che beffardamente diceva: «Signore, preservami dai contenuti, salvami dal significato, fulminami all'istante qualora fossi preso dalla tentazione del messaggio».
E pensare che un civis romanus com'è stato lui, senza boria, senza retorica, con la bonarietà del dire «a questa città dobbiamo tutti volere più bene anche quando sbaglia, e sbaglia spesso», aveva lo scrupolo non sbandierato di rappresentare Roma al meglio agli occhi del resto d'Italia.
Passato, futuro
Convivevano millenni di civiltà in Proietti e questo suo respiro largo - che evidentemente gli faceva male al cuore - lo ha reso, ma senza pretendere la corona, un po' una sorta di sovrano numero otto, dopo «I sette re di Roma» che interpretò in teatro. E adesso non è morto nel suo amatissimo Globe ma ha avuto comunque una morte scespiriana. Se n'è andato nel giorno del suo compleanno: così come il grande autore inglese che nacque il 23 aprile del 1564 e scomparve il 23 aprile del 1616 secondo le datazioni più accreditate.
Il suo respiro era il respiro di Roma e ora - diceva già da tempo - «il nostro comune battito si è fatto troppo affannoso». Il 21 aprile, giorno del Natale di Roma che quest'anno non si è potuto celebrare, confidava: «Gli aggettivi su Roma in lockdown non mi sono piaciuti. La Roma spettrale, la Roma moribonda. No, è solo che Roma se riposa, ne ha diritto perché è stanca. Questo compleanno festeggiamolo rispettandola». Il rispetto per Roma e il bisogno intimo e civico di vederla o di crederla sempre grande sono stati i tratti più ammirevoli dell'arte di Proietti. Perciò, ora che è appena andato nell'aldilà, da quaggiù gli vengono inviate raccomandazioni social come questa: «Gigi, in cielo avrai di certo già conosciuto San Pietro. Da laico, chiedi una mano pure a lui perché Roma torni ad essere Roma».
Gigi Proietti, il radiologo: "Prima della Tac mi ha detto "Je la faccio?". Era cardiopatico grave"
Gigi Proietti è morto a 80 anni lasciando un vuoto immenso accanto a sé. Nonostante fosse ricoverato da giorni, nella clinica romana di Villa Margherita non aveva perso lo humour che lo ha sempre contraddistinto. Fabrizio Lucherini è medico radiologo della clinica: "Quando gli ho fatto la tac, pochi giorni fa, ironizzava sulle sue condizioni: "Come vado?
Ultimo aggiornamento: Martedì 3 Novembre 2020, 07:10
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